Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 12 Mercoledì calendario

ANTONIO RICCI STASERA GUARDO D’ALEMA O IL PESCE SILURO?


Tanto tempo fa Antonio Ricci – l’inquieto di Albenga e del situazionismo d’entroterra ligure – voleva cambiare il mondo. Negli ultimi 35 anni ha fatto molto di più: ha cambiato la Tv. In meglio o in peggio lo lascia giudicare a quegli eterni infanti che di mestiere fanno i critici della scatola magica, masticandola: «Chi lo fa, perlopiù, scrive in pieno conflitto di interessi, tentando di favorire o danneggiare. Il Web è esemplare: si riesce sempre a risalire la filiera del mandante. Comunque la Tv non è maestra di vita. È finzione. Non fa cultura perché la cultura ha bisogno di scambio. E la Tv non scambia nulla, vende. È marketing. Io ho cercato di instillare qualche dubbio, di fare la Tv del “qualcosa”».
Lui ha provato a destrutturarla. A ridurla nelle briciole d’alta sapienza del Drive In, anni 1983-’88, poi in quelle di Striscia la notizia, in onda ormai da 26 anni, che poi è l’eterna Italia degli eterni inganni raccontata dall’unico punto di vista plausibile, il Gabibbo, che in quanto pupazzo è il più umano tra tutti noi. Ora che Ricci aggiunge alla sua cospicua fedina penale un nuovo programma, Giass, Great Italian Association, è tempo di bilanci. Di molti ricordi. Di qualche rendiconto.

Cominciamo dal suo futuro prossimo venturo.
«Divertirmi con Giass che sarà la nuova versione della mia unica specialità: rompere i maroni. Poi arrivare a 30 anni con Striscia. E infine ritirarmi, scrivere le mie false memorie, partecipare a convegni sul punteruolo rosso e gli agapanti, andare ai giardinetti di Alassio mulinando un pannolone, morire trafitto da un tapiro».
Senza rimpianti.
«In Italia il rimpiantismo è la malattia senile del progressismo».
Destra e sinistra pari sono?
«C’è una mafiosa guerra per bande. Gli affari hanno preso il posto delle ideologie, tentando un patetico “camouflage”. Solo un fesso può pensare che De Benedetti sia un sincero democratico o che Berlusconi sia di Alba Dorata. Ognuno organizza le proprie truppe per picchiare la cosca avversa».
E lei da che parte sta?
«Dalla mia».
Comodo.
«Mica tanto. Chi non ha esclusive come me quasi sempre sta sotto il fuoco incrociato».
Parla come un grillino.
«È sicuro? A me sembra di essere leggermente autoironico».
Lo ha mai votato?
«Chi, Beppe? Mettere una croce in faccia al mio vecchio amico sarebbe come fargli un necrologio. A parte che sul 90 per cento delle cose ha ragione, a ’sto giro mi sono astenuto senza drammi… per fortuna ero all’estero».
Lo conosce dagli anni Settanta, lei è stato il suo primo Casaleggio...
«Spero tricologicamente, e non solo, meno inquietante».
Ha scritto tutti i suoi primi spettacoli e programmi televisivi, praticamente vivevate insieme ai tempi di Fantastico, Te la do io l’America, Te lo do io il Brasile.
«Una coppia di fatto. Abitavamo in un residence dove per scaldarci usavamo il phon. Lui, ex rappresentante di jeans, era stato ingaggiato da Pippo Baudo. Io campavo facendo due spettacoli a sera al Settepiù e al Derby Club di Milano con Cochi e Renato, Gianfranco Funari, i Mimistrelli. Un paio di scarpe costava 10 mila lire, io ne guadagnavo 5».
E poi insegnava Latino e Lettere.
«Se è per questo ho fatto persino il preside a Genova, poi mi hanno scoperto».
Dell’avventura politica di Grillo cosa pensa?
«Beppe ha grandi capacità provocatorie. Non ho mai creduto all’uomo della provvidenza perché è sempre una scorciatoia mentale. Spero e penso che Beppe non voglia ritagliarsi in eterno il ruolo di “comico della provvidenza”».
Le espulsioni a raffica dal Movimento l’hanno stupita?
«No, fanno parte della sua logica e delle sue regole. Chi sta con lui doveva saperlo prima, invece di stupirsene dopo».
Da Renzi la comprerebbe un’auto usata?
«Sì, ma solo perché non guido».
Quanto assomiglia a Berlusconi?
«Renzi è sveglio, è veloce, è un grande venditore, ha imparato la lezione».
Politicamente parlando, Berlusconi è vivo o morto?
«Il taumaturgico Santoro lo ha resuscitato in diretta».
Colpa di Santoro? Riduttivo.
«Santoro è una evoluzione di Biscardi e del suo Processo del Lunedì. Invitando Berlusconi credeva di competere con lui a livello circense-spettacolare. Ma è impossibile. Invece di domarlo lo ha eternizzato in quanto re».
Quando lo ha conosciuto il re?
«Nel 1983, ma prima, nell’80 a sua insaputa, col grande Enzo Trapani, avevo fatto Hello Goggi, il primo varietà di Canale 5 con Teocoli e Boldi».
Tutti a chiedere anticipi prima che fallisse con le sue Tv.
«Il clima era quello: un ricco industriale brianzolo in mezzo a gente affamata. Tutti credevano che fosse un pollo da spennare. Che si lasciasse spennare era anche vero».
Salvo spennarci tutti noi nei decenni a venire. Ma ai tempi nessuno lo prendeva sul serio.
«Quando Berlusconi diceva che voleva fare una super Rai, tutti gli ridevano dietro, lo prendevano per matto. Invece lui voleva proprio quello, una Tv con il vestito da sera, il galà, le canzoni: un pacco ben confezionato da vendere alla pubblicità. Per questo assunse Dorelli, Sandra e Raimondo, Banfi, Baudo e naturalmente il migliore di tutti, Mike Bongiorno».
Mentre Drive In?
«Drive In non rientrava nei suoi progetti. Nacque su Italia 1 che era la cenerentola delle due reti e con gli scarti, cioè D’Angelo e Greggio, che per me erano il meglio su piazza. Nacque perché ci spalleggiò Carlo Freccero, altro savonese matto, che sovrintendeva i palinsesti, non dormiva mai e aveva lo spazzolino da denti ad Arcore».
Trasmissione tanto amata e poi tanto vituperata.
«Lodatissima da intellettuali come Raboni, Placido, Fellini, Del Buono, Guglielmi eccetera, si è deciso un certo giorno di confondere Colpo grosso con Drive In e far diventare la trasmissione l’origine di tutti i mali, il luogo fondante del berlusconismo. Tutte queste falsità sono state a dicembre smascherate dal documentario di Luca Martera in occasione del trentennale del Drive In. Ora non c’è più nessuno che possa sostenere questa tesi senza essere sbeffeggiato o fatto a pezzi».
Sono stati scritti persino dei saggi per dimostrare la filiazione diretta tra quelle plastiche antiche e il futuro partito di plastica.
«Tutto strumentale. Addirittura la signora Sveva Casati Modignani ha scritto sul Corriere che per colpa del Drive in c’è il femminicidio in Italia e in tutte le terre emerse. E dicendolo si è guadagnata un’ospitata a Ballarò, dove ha promosso il suo libro tra gli elogi di Riotta. Ecco la miseria umana».
In tanti anni lei non è mai andato a un talk show.
«Non posso, c’è in ballo un giuramento a Costanzo: non vengo al tuo show, né vado altrove, e se lo faccio ti lavo i piatti gratis per un mese. Dei dibattiti in Tv penso tutto il peggio possibile».
Che Tv guarda?
«Quella notturna che culla il mio stato comatoso. Guardo i tizi che pescano i pesci siluro al buio, nel fango. Oppure quelli di Quattro matrimoni in Italia: nell’ultima gli sposi liberavano mille farfalle gialle fuori dalla chiesa che finivano tutte spiaccicate sotto le scarpe di vernice degli invitati».
Solo cose così orribili?
«Sempre meno orribili di Bruno Vespa».
È diventato migliore o peggiore in questi anni?
«Solo più consapevole. Un tempo credevo che tutti i mali nascessero dal narcisismo, da quello specchio senza fondo dove uno finisce per annegare. Pensi a Berlusconi e al male che si è fatto da solo. Riflettendoci ho scoperto che il vizio vero è la pigrizia, indossare un’idea e usarla come maschera per avere la tua parte in commedia».
Per esempio?
«Prenda Giovanardi che strilla se vede due uomini per mano. Di sicuro il Giovanardi vero è meno stupido di quello finto. Ma lui ci si nasconde dentro così lo chiamano in Tv. E poi arriva la Concia, che magari non è più lesbica da anni, ma lo fa, così litigano in Tv e campano ancora un giorno nel loro specchio».
Nulla di quello che dice è politicamente corretto.
«Ci mancherebbe. Il politicamente corretto è la dittatura che mina la libertà di espressione. Non sei più libero di dire che anche un gay può essere un cretino o che una donna è stronza quanto un uomo. L’ascesa di Laura Boldrini, presidente della Camera, è figlia del politicamente corretto».
Quante querele ha preso in carriera?
«Ho smesso di contarle».
Chi è il politico più divertente?
«Sono incerto tra D’Alema e Nichi Vendola».
D’Alema è ormai un comico naturale.
«È l’eterno indispettito. Trasuda spocchia, come se a ispirarlo fosse il cielo. Mi immagino la povera moglie che lavora in mezzo alla polvere degli archivi e quando arriva in casa si becca Max che pontifica sul risotto».
E Nichi?
«Sono il suo Cepu. L’ho fatto esordire come poeta in Lupo solitario, era un ragazzino, aveva già l’orecchino, la zeppola e ha voluto che gli presentassi il mito della sua vita».
Ingrao?
«No, Caterina Caselli».
Per aver mandato in onda il filmato della Tulliani con Gaucci, il neo marito Gianfranco Fini voleva la sua pelle.
«Scoppiò il finimondo. Alle 9.45 di sera mi chiama Confalonieri, bisbigliando perché stava dentro la Scala, mi chiede: dimmi solo una cosa, Antonio, è stato Prodi?».
Invece?
«Il filmato stava da giorni sul sito di Repubblica e del Corriere e uno dei nostri amici naturali, il fantastico Edmondo Berselli, ce lo aveva segnalato».
Ecco la macchina del fango.
«Come no. Hanno persino scritto che il mandante di Drive In era Paolo Romani».
Il capogruppo di Forza Italia.
«Peccato che all’epoca fosse solo il mandante di Maurizia Paradiso».
È appena ricominciato il Grande Fratello.
«La considero una imponente opera idraulica per regolare il narcisismo nazionale».
La Tv generalista si sta spegnendo o cosa?
«Vivrà ancora a lungo. Rimane quella che dà maggiori contenuti al Web».
Si è divertito in questi trent’anni?
«Fabbricare la Tv è quasi più divertente che stare al bar a giocare a biliardo. Alla fine ho provato a fare una cosa soltanto: instillare il dubbio».
Il dubbio che non sia vero quello che uno vede.
«Esatto. Quello che racconta Wanna Marchi è vero? E Putin? E Renzi? Tocca far funzionare il cervello. Impiegare un po’ di fatica. Tranne che nel mondo dei Pacchi, nessuno ti regala nulla».