Jacopo Pasotti, Vanity Fair 12/3/2014, 12 marzo 2014
LE VERITA’ SUI CIECHI: NON CI SENTONO MEGLIO
E’ ferma all’angolo della strada in attesa del momento giusto per attraversare. Un’auto accosta, altre due stanno arrivando. Per lei, che non può vedere, è difficile farsi un’idea della velocità e della loro distanza. Ma, lo sanno tutti, i ciechi ci sentono meglio: usano l’udito per orientarsi in città come nella giungla. La ragazza attraverserà con una destrezza sorprendente.
Ecco, nulla di più falso. «In un certo senso, ci sentono perfino peggio», spiega Monica Gori, psicologa presso il dipartimento di Robotica, Scienze Cognitive e del Cervello dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit). Ma come: i ciechi non sono più dotati nel distinguere e localizzare i suoni nello spazio? «No, è un mito. E noi lo abbiamo abbattuto, purtroppo», ammette Gori, che ha appena pubblicato le sue scoperte sulla rivista scientifica Brain.
«Finora studi e misurazioni si basavano su stimoli uditivi singoli, lontani dalla realtà nella quale un non vedente è immerso ogni giorno. Noi dimostriamo che, in presenza di più suoni, per capire da dove provengono ha le stesse difficoltà che avrebbe chiunque di noi bendato. Anche peggiori, se i suoni sono molto vicini tra loro». Come in un bar, dove un cieco ha difficoltà a crearsi un mappa mentale in cui collocare la macchina del caffè, il flipper, le persone che entrano ed escono, e il cameriere che si avvicina per prendere l’ordinazione.
Demolire un mito che ha profonde radici è difficile, ma può essere molto utile per i 161 milioni di non vedenti al mondo (di cui 1,4 milioni sotto i 15 di anni): soprattutto per mettere in atto opere di riabilitazione che siano efficaci. Come quella che Gori sta sperimentando in Liguria con un team dell’Iit e dell’Istituto David Chiossone, su 400 giovani, studiando «l’interazione delle modalità sensoriali durante lo sviluppo». Il team ha convinto l’Unione Europea a finanziare un sistema di «braccialetti sonori» con cui i bambini potrebbero capire meglio il proprio corpo e imparare a interagire con i genitori fin dai primi anni di vita, critici nello sviluppo del cervello. Grazie al braccialetto, i bambini non vedenti potranno percepire i movimenti di se stessi e dei genitori intorno a loro, un po’ come fanno i pipistrelli. «È il primo progetto che propone uno strumento per la riabilitazione in bambini così piccoli», conclude con soddisfazione Gori. Speriamo funzioni e non rimanga solo un mito.