Marco Pivato, La Stampa - Tutto Scienze & Salute 12/3/2014, 12 marzo 2014
SI PUÒ LEGGERE NEL FUTURO? C’È UNA SFERA DI CRISTALLO CHE SI CHIAMA “BIG DATA”
[Intervista a Alessandro Vespignani] –
Il futuro non lo si può prevedere, ma lo si può studiare. Ed è straordinario che l’accuratezza degli scenari che possiamo anticipare stia aumentando. Opinione pubblica e consenso, crisi economiche, pandemie e mutamenti geopolitici: non sarà una magica sfera di cristallo a rivelarci da che parte va il mondo, ma una serie di indicatori scientificamente trattati. Una rivoluzione in questo senso viene dall’accesso e dall’analisi dei cosiddetti «Big Data», il fiume di informazioni che produciamo e di cui lasciamo traccia attraverso Internet e altri mezzi in cui parliamo di noi: si tratta di «briciole digitali», come le chiama Alessandro Vespignani, professore alla Northeastern University di Boston e direttore scientifico della Fondazione Isi di Torino, e che si stanno rivelando straordinariamente utili.
Professore, che cosa sono esattamente le briciole digitali che costituiscono i Big Data?
«Sono informazioni che l’uomo lascia al suo passaggio ogni volta che usa per esempio Facebook, compra un libro su Amazon, viaggia seguendo il tracciato di un Gps, esegue una transazione finanziaria: questa mole di informazioni ci permette di studiare la direzione di macroscenari in fieri, anticiparli e anche di cambiarli».
Può farci un esempio?
«In primo luogo possiamo partire da inferenze abbastanza semplici, come provare a indovinare chi vincerà la finale di “X-Factor”, mettendo a sistema la massa di opinioni che viaggia via twitter delle centinaia di migliaia di persone, che poi votano da casa».
Passando, invece, a casi più complessi?
«Dal 2009 il mio team ha seguito l’evolversi della pandemia del virus A/H1N1. Seguendo i primi focolai della malattia, grazie a modelli matematici e simulativi che hanno messo in relazione i singoli fenomeni agli spostamenti dell’uomo nel mondo globalizzato e superconnesso e le informazioni che venivano scambiate su Internet e dai media, i computer sono riusciti a predire in buona misura il viaggio di questo virus nel mondo e fornire informazioni per contenere l’emergenza».
È possibile applicare principi simili anche per anticipare i grandi trend della società?
«Usiamo l’analogia delle previsioni meteorologiche. Grandi fenomeni atmosferici si generano dal comportamento di singoli atomi e da piccole variazioni. Così dallo studio del particolare possiamo ricostruire il dato generale: se consideriamo l’uomo un “atomo sociale”, tracciando le sue attività al lavoro, in famiglia e nel tempo libero, vediamo i legami che crea nel tempo fino alla comparsa di “molecole” e corpi sempre più complessi, cioè metafore di veri e propri mutamenti collettivi: questa è la fisica dei sistemi sociali».
Una scienza sempre più appetibile per «spin-doctors» e movimenti politici...
«Non c’è dubbio. Dagli Anni 80 ci si affida alle scienze e alla psicologia sociali, ma da ora e nel prossimo futuro saranno le scienze computazionali, basate sui Big Data, a fornire indicazioni su opinione pubblica e consenso, che a loro volta influenzano, come sappiamo, i mercati finanziari e ancora più in grande le relazioni internazionali tra gli Stati».
È uno scenario multiforme: inquietante o di grande opportunità?
«Si dice che la scienza non è né “buona” né “cattiva” e che dipende dal suo utilizzo, ma nemmeno neutrale: nuove conoscenze producono sempre effetti. È importante, allora, utilizzare il potenziale dei Big Data in senso comunitario e non elitario».
Si pone però anche un problema antico: fare previsioni significa interferire con gli scenari stessi che studiamo. Non si finisce per influenzarli?
«È un problema che esiste senz’altro, ma può rivelarsi un’opportunità. Nel momento in cui estrapoliamo informazioni possiamo decidere come utilizzarle e diffonderle: proprio perché i trend sono reattivi alle nostre interferenze possiamo studiarne le risposte. Nel caso delle pandemie la diffusione delle conoscenze può fare la differenza tra il panico e il contenimento dell’emergenza».
E come facciamo a sapere che ciò che ci suggeriscono in prospettiva i Big Data non sarà «inquinato» dal nostro utilizzo?
«Torniamo all’analogia con le previsioni meteorologiche. A poche ore o giorni sono affidabili, ma a una settimana diventano difficili, fuorviate da una serie di eventi successivi. Nel fare previsioni i modelli statistici e computazionali possono però aggiornare di giorno in giorno le informazioni, correggendo così la visione della realtà».