Franco Bechis, Libero 12/3/2014, 12 marzo 2014
SPIATI TUTTI I DEPUTATI
La Camera dei deputati aveva al suo interno fino al 31 dicembre una colossale banca dati di spionaggio delle comunicazioni effettuate dai deputati. Migliaia di file legati a un codice numerico a cui corrispondeva il nome di un deputato con l’elenco dei tabulati telefonici, e cioè di tutti i numeri telefonici chiamati utilizzando quel codice. Secondo quanto scoperto dal collegio dei Questori che casualmente si è imbattuto nel grande fratello di Montecitorio i file raccolti nella banca dati risalivano anche ad alcuni lustri fa: tutti presenti quelli delle legislature dalla quattordicesima in poi, e ovviamente inseriti anche tutti i file delle telefonate effettuate dagli attuali 630 deputati nel 2013. Nessuna regola particolare era stata adottata per la loro protezione, e nessuno sa se sia stata fatta copia di quei file o ne sia stato trasmesso qualcuno a terzi. Di sicuro erano un’arma formidabile di violazione della privacy dei parlamentari e ovviamente di ricatto. Avrebbe fatto gola a molte correnti interne ai partiti poterne utilizzare nelle battaglie interne o per stroncare questa o quella carriera e indubbiamente era materiale d’oro per servizi segreti più o meno deviati.
In quella maxi banca dati c’erano infatti i tabulati telefonici di leader politici di primissimo piano come Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Francesco Rutelli e decine di altri. C’erano i file di questa legislatura, quindi l’elenco delle telefonate effettuate dall’intero gruppo del Movimento 5 stelle, come dei renziani del Pd, come di tutti gli altri movimenti e partiti rappresentati a Montecitorio. Usiamo il passato perché la decisione presa dal collegio dei Questori, su impulso particolare di uno di loro (Stefano Dambruoso, che prima di essere eletto con Scelta civica faceva il magistrato), è stata quella di fare distruggere i files di quella banca dati. Anche se per motivi amministrativi quelli più recenti dovranno comunque essere conservati e rendicontati.
È stato un caso a fare portare alla luce il Grande Fratello Montecitorio. Una banalità, come spesso capita nei grandi scandali. Cercando di fare un pizzico di spending review sui conti del Palazzo e sulla spesa per mantenere i deputati, il collegio dei Questori aveva cercato di dare una sterzata proprio alle spese telefoniche. Fino alla fine del 2013 infatti ad ogni deputato era concesso un rimborso forfettario annuo delle spese di telefonia di 3.098,74 euro. Quel rimborso riguardava di fatto solo le telefonate fatte con cellulari e smartphone, perché dai telefoni fissi posti sia nelle singole postazioni parlamentari dell’aula di Montecitorio, sia nei corridoi di accesso al Transatlantico, in quello retrostante l’aula (la cosiddetta Corea), nelle commissioni e negli uffici del palazzo, erano offerte gratuitamente a tutti dall’amministrazione. Quelle urbane possono essere effettuate da qualsiasi apparecchio e da chiunque sia autorizzato a frequentare il palazzo semplicemente anteponendo lo «0» al numero da comporre. Quelle interurbane o internazionali non sono possibili se non ai deputati che le effettuano digitando un codice loro riservato che da qualche anno è combinato anche un token e a una password personale loro fornita per accedere ad Internet e ad altri servizi a banda larga. Grazie a quei codici tutte le telefonate erano libere e senza limiti di spesa, assorbite semplicemente dal contratto che la Camera dei deputati aveva con il gruppo Telecom Italia. Non essendoci tetti di spesa, né plafond per quelle telefonate, diventa davvero un mistero il motivo per cui siano stati conservarti per un tempo così lungo i relativi tabulati.
I questori comunque alla ricerca di risparmi hanno deciso di ridurre il plafond a disposizione per ciascuno dei 630 deputati a 1.200 euro annui, comprendendo in quella somma anche le telefonate gratuite effettuate con quell’apposito codice. Ed è proprio cercando di censire quella spesa che è saltato fuori con grande imbarazzo la banca dati, il Grande fratello Montecitorio. Questione apparsa subito della massima delicatezza, tanto che il collegio dei Questori ha scelto di fare cancellare i file così a lungo conservati in banca dati riducendone la pericolosità, ma il caso non è stato portato ad altri organismi più rilevanti. Non in ufficio di presidenza, secondo quanto risulta a Libero, visto che il vicepresidente del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, era perfettamente a conoscenza della riduzione dei plafond telefonici, ma non dell’esistenza di archivi che si prestavano a un così insidioso utilizzo.
Per quanto la vicenda sia stata coperta dal massimo riserbo, è difficile che ora il caso non diventi politico, e che magari porti a una commissione interna di inchiesta sulla formazione di quei file-tabulati, sui sistemi di protezione dei dati e sul possibile utilizzo. Che sicurezza ha avuto il muro su quei dati? È mai stata fatta copia dei tabulati? Èpossibile che i dati telefonici di un singolo deputato siano stati trasmessi a terzi? Era integra la raccolta dei dati, o qualcuno ne mancava magari perché questo o quel leader ne è stato escluso? La risposta a queste domande serve anche a ricostruire la storia di questi anni e a fare comprendere in quale tipo di democrazia si è vissuti. Anche a garantire cosa avverrà in futuro dei nuovi dati raccolti, posto che ora legandoli a un plafond di spesa sarà necessaria la loro conservazione ai fini amministrativi.