Sergio Romano, Corriere della Sera 12/3/2014, 12 marzo 2014
NOSTALGIE BIPOLARI DI PUTIN RUOLO DELL’EUROPA NELLA CRISI
Della politica di Putin si coglie l’aspetto più evidente: il suo sforzo costante di ristabilire un rapporto egemonico nei confronti dei territori un tempo sovietici, proiettandolo verso l’Asia Centrale. È altrettanto importante la sua nostalgia di un bipolarismo, garantito dalla Guerra fredda, che per mezzo secolo ha assicurato all’Unione Sovietica lo status di seconda potenza mondiale. Questa aspirazione antistorica – ormai altre grandi potenze, in primo luogo la Cina, sono irreversibilmente proiettate verso un mondo multipolare – spinge Putin a riesumare una strategia della tensione anche di ordine militare che sollecita l’unità occidentale tipica della Guerra fredda e potrebbe trovare alleati speculari tra coloro che, come l’ex vicepresidente Cheney, negli Stati Uniti contrastano la politica di Obama quando persegue una drastica riduzione delle spese militari, sulla base degli obiettivi mancati in Iraq e Afghanistan. Per questo è importante disinnescare la spirale in atto ed evitare che gli europei si accodino a Washington, assecondando invece gli sforzi diplomatici della cancelliera Merkel cui il governo italiano farebbe bene a offrire un appoggio anche tattico che le viene negato dai velleitarismi di Londra e di Parigi, a suo tempo esibiti rispetto alle crisi in Libia e in Siria. Qualche volta la via d’uscita da una crisi si concretizza in un equilibrio per contrappunto. Ha senso contrastare l’indipendenza o, più probabilmente, l’annessione della Crimea alla Russia sulla base di aspirazioni maggioritarie del suo popolo e della storica aspirazione russa di garantirsi l’accesso ai mari caldi? Ma, se così non fosse, non incombe sull’Unione Europea il dovere di aprire all’Ucraina la strada di una piena adesione, nel rispetto dei principi democratici di Copenaghen e dei diritti di autonomia delle minoranze etniche e culturali, quali le popolazioni russe nell’Est del Paese? E che, sia detto per inciso, andrebbero applicati anche negli Stati membri (ad esempio, in Ungheria e nei Paesi del Baltico).
Gian Giacomo Migone
Presidente Commissione Affari Esteri del Senato dal 1994 al 2001
Caro Migone,
È probabile che Putin pensi con nostalgia all’epoca in cui lo status internazionale dell’Unione Sovietica non era inferiore a quello degli Stati Uniti. Ma non può ignorare che l’autorità politica del suo Paese dipendeva allora anche dal messaggio ideologico di cui era portatore. Quel messaggio ha perduto il suo valore e la globalizzazione ha avuto effetti, soprattutto in Asia, di cui Mosca deve tenere conto. Preferisco pensare che certe caratteristiche della politica estera di Putin dipendano soprattutto dall’uso che gli Stati Uniti hanno fatto dell’Alleanza Atlantica dopo la fine della Guerra fredda.
A Pratica di Mare, nel vertice Nato-Russia del luglio 2002, sembrò possibile sperare che il Patto concluso nel 1949 contro l’Urss divenisse una organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intero continente «dall’Atlantico agli Urali». Quella prospettiva è divenuta improbabile nel momento in cui la Nato si è allargata sino ad oltrepassare i vecchi confini dell’Unione Sovietica e ha annunciato l’arrivo di nuovi membri, dalla Georgia all’Ucraina. E si è ulteriormente allontanata quando gli Stati Uniti hanno progettato un sistema antimissilistico attraverso l’Europa centrale che è obiettivamente diretto, anche se gli americani lo negano, contro la Russia. Credo che Obama ne fosse consapevole, ma non ha avuto il coraggio d’imporre una diversa linea alla componente più aggressiva del suo Paese.
Per tornare a parlare dei rapporti fra l’Ucraina e l’Unione Europea, caro Migone, occorre anzitutto sapere che cosa gli ucraini vogliano fare di se stessi nei prossimi mesi. Ma sarà comunque bene ricordare che ogni offerta dell’Ue a Kiev sarà tanto più tranquillizzante per la Russia quanto più avremo dimostrato che la nostra politica non è quella degli Stati Uniti.