Enzo Bianchi, la Repubblica 12/3/2014, 12 marzo 2014
PERCHE’ FRANCESCO
IL cardinale Walter Kasper è sempre stato giudicato — sia nella chiesa cattolica sia nelle altre chiese che lo hanno conosciuto come primo responsabile nella curia romana per l’ecumenismo — come un sapiente teologo della grande tradizione e un prudente uomo del dialogo. Eppure oggi si è acceso su di lui uno scontro: alcuni tradizionalisti lo additano come eretico e polemizzano quotidianamente contro i suoi interventi, altri non lo contrastano apertamente ma giudicano le sue posizioni sul tema della famiglia in rottura con le posizioni del magistero cattolico. Ora, è stato papa Francesco stesso a chiedere a Kasper un intervento su quel tema al concistoro dello scorso 20 febbraio, e il cardinale ha offerto il suo contributo alla discussione inserendolo nella diversità delle ricerche in atto in vista del prossimo sinodo dei vescovi sulla famiglia.
Il teologo tedesco, come pure il Papa, continua a ribadire che la visione cristiana della famiglia, cioè del matrimonio indissolubile, dell’alleanza fedele tra i coniugi segno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, non può essere cambiata né smentita: su questo aspetto, infatti, la Chiesa può solo obbedire a una parola di Gesù riportata dai vangeli.
Se nella Torah, data da Dio a Israele, il divorzio era permesso in alcuni casi e normato, nella predicazione di Gesù questa “possibilità” decretata da Mosè per la “durezza di cuore” dei credenti non è in vigore. Gesù, evitando ogni interpretazione casistica, afferma di risalire all’intenzione originaria di Dio nel creare l’uomo e la donna e dichiara che l’uomo non può separare ciò che Dio ha unito in una sola carne, in un “noi” più forte di un “io” e un “tu”. Nel matrimonio cristiano avviene un’alleanza, uno scambio di promesse, una parola data per sempre, si sigilla una storia d’amore come unica. Questo è il vangelo, la buona notizia sul matrimonio che la Chiesa deve trasmettere e predicare con chiarezza ma anche con umiltà, senza arroganza, mettendosi, come sono solito ripetere, in ginocchio davanti ai coniugi che hanno assunto quella loro storia d’amore così fragile, faticosa e difficile. Il cardinale Kasper, papa Francesco, il prossimo sinodo non mutano e non muteranno questo annuncio, duro non solo per le orecchie di greci ed ebrei di ieri, ma anche per quelle dei cristiani, di ieri come di oggi e di domani.
“Ma la dottrina che non può essere cambiata — afferma Kasper — è soggetta anche a uno sviluppo”: può essere espressa con parole nuove, può essere compresa più profondamente, può essere declinata in disciplina attraverso modalità diverse, perché è nella storia umana che il vangelo va predicato, creduto e vissuto: non cambia, ma può essere compreso meglio. Tutti sono convinti che la forma e l’identità della famiglia, mutata a più riprese nel corso dei secoli, ha conosciuto in questi ultimi decenni un profondo cambiamento legato ai nuovi approcci antropologici e alle diverse realtà sociali. E il vangelo della famiglia non può essere proposto con il linguaggio, l’intransigenza e la durezza dei tempi post-tridentini. La Chiesa deve guardare in faccia gli uomini e le donne che la compongono, le loro fragilità e debolezze che li portano a contraddire in modi diversi e molteplici le esigenze del vangelo. Soprattutto nelle storie d’amore il cammino è accidentato e anche per i credenti può accadere la separazione, l’infedeltà, una nuova storia d’amore, il divorzio e nuove nozze. Questi sono innanzitutto cammini di dolore, di fatica, perché la separazione, il distacco, la fine di una vicenda d’amore porta sempre con sé la sofferenza per i coniugi come per i figli. Nella comunità cristiana oggi uomini e donne che si trovano in questa situazione di lacerazione non costituiscono più un’eccezione, ma sono una presenza che interroga. Fino a prima del concilio, erano ritenuti “pubblici peccatori”, esclusi dalla comunità cristiana, a volte persino scomunicati. Ma la Chiesa, a partire dagli anni dell’assise conciliare, ha cambiato rotta fino a renderli destinatari di una pastorale attenta, piena di cure, amorevole che non li esclude dalla comunità cristiana ma li invita a partecipare intensamente alla vita ecclesiale.
È in questo cammino che vanno comprese le proposte del cardinale Kasper che si domanda se l’eucaristia — il sacramento della comunione con Cristo e con la Chiesa — non possa essere a certe condizioni per alcuni divorziati risposati un viatico per la remissione dei peccati e la viva appartenenza al corpo di Cristo. Non si tratta — si badi bene — di ammettere i divorziati alla comunione, come banalmente viene detto, bensì di individuare dei cammini penitenziali che abbiano come possibile esito anche la ritrovata comunione eucaristica nell’assemblea ecclesiale. Se un cristiano, persona precisa — non una generica categoria di appartenenza — ha ben compreso e assunto il fallimento della sua prima storia d’amore sigillata dall’alleanza, se ha vissuto quella separazione adempiendo alle esigenze di giustizia nei confronti del coniuge e dei figli, se giudica in coscienza di fronte a Dio che la nuova storia d’amore sia vivibile con responsabilità, fedeltà e coerenza cristiana, se dà prova di perseveranza e di desiderio di vivere il vangelo e la vita ecclesiale, potrà intraprendere un cammino penitenziale? La Chiesa non potrebbe allora predisporre dei cammini in cui un presbitero dotato di discernimento e di sollecitudine pastorale possa guidare, accompagnare e testimoniare questa penitenza, questa conversione? Questa è la medicina della misericordia — verità evangelica come quella della fedeltà — che non offende la giustizia e permette al cristiano peccatore di vedere il volto di Dio che perdona e il volto di una Chiesa madre che lo accompagna. Chi come me ascolta quasi ogni giorno la sofferenza e il gemito di uomini e donne che nella loro storia d’amore hanno sbagliato, fallito o sono state vittime di errori altrui, che tentano di ripercorrere le strade possibili dell’amore, può solo riaffermare che la legge di Dio è buona e santa ma che, una volta infranta la legge da parte dell’uomo, resta solo la misericordia. Quando la legge è infranta, non si tratta di abolirla ma di far regnare la misericordia di Dio, e quindi della Chiesa.