Cristiana Salvagni, la Repubblica 12/3/2014, 12 marzo 2014
SEI MINUTI IN PIÙ DAVANTI AGLI SCAFFALI QUEI DUBBI CHE ALLUNGANO LA NOSTRA SPESA
ROMA — La prossima volta che andate al supermercato provate a cronometrare quanto tempo ci mettete a fare la spesa. In media sono 22 minuti, sei minuti in più di sei anni fa. Allora, aggirandovi tra le corsie piene di prodotti, vi lasciavate più spesso tentare dallo sfizio: un dolce, un pacchetto di patatine, una bibita gassata. Piccole coccole acciuffate all’ultimo istante dagli scaffali mentre andavate alla cassa per mettervi in fila. Ecco, quello stile di shopping non esiste più.
La crisi ha rivoluzionato il modo in cui riempiamo il carrello: il consumatore della crisi, o “working shopper”, sacrifica l’acquisto di impulso per la pianificazione. Programma, nei minimi dettagli, anche i piccoli piaceri.
Lo raccontano i numeri di una ricerca dell’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma: oltre la metà, il 52 per cento, decide già a casa se comprare uno snack; il 78 per cento progetta l’acquisto del caffè, il 77 per cento delle merendine, il 64 per cento della birra, il 63 per cento delle bibite. Una volta dentro al supermercato non prende la prima cosa che gli capita ma cerca il prodotto e la marca che aveva scelto e, se ha un dubbio, paragona i brand, legge le etichette, confronta prezzi e ingredienti. Dilatando la durata della spesa. «Si sono allungati rispetto al passato i tempi medi trascorsi davanti allo scaffale — spiega Maria Grazia Cardinali, autrice dello studio e docente di Marketing a Parma — negli ipermercati raggiungono
i 32 secondi e questo dimostra che non si può più parlare di marketing degli ultimi dieci secondi ».
È quasi un metodo scientifico quello applicato ogni giorno dagli italiani: uno su cinque sceglie dove fare la spesa solo dopo aver consultato i volantini di più punti vendita e di più insegne, oltre il 40 per cento arriva con una lista scritta dei prodotti da comprare, il 60 per cento programma sempre gli acquisti, il 90 per cento usa abitualmente le carte fedeltà. È diventato un vero e proprio professionista il consumatore: ricorda bene i prezzi, è informato grazie alle tecnologie, valuta le alternative.
«È molto più razionale» conferma Daniele Fornari, del Centro di ricerca su marketing e servizi dell’Università Bocconi. «Fa scelte più riflessive, meno dettate dall’istinto: si ferma, prende in mano le confezioni, confronta. Per questo, anche se compra meno prodotti, i tempi di permanenza nel supermercato si sono allungati del 20 per cento rispetto al 2007, quando ancora non c’era la crisi». È diventato più consapevole: «Sono calate le vendite, non i consumi alimentari — continua Fornari — prima il 15 per cento della spesa andava sprecata. Si acquistavano dieci yogurt e se ne buttavano cinque, perché scadevano. Adesso se ne comprano cinque, quelli necessari. Non si fanno più grandi scorte ma si compra quel che serve, giorno per giorno: assistiamo, infatti, alla crisi degli ipermercati e al rilancio dei negozi di quartiere. Si rinuncia alla quantità, non alla qualità».
«Vediamo una crescita a doppia cifra dei prodotti biologici o adatti per le intolleranze. Si taglia il superfluo, quegli alimenti che non hanno valore nutrizionale come snack, bibite dolci, gelati» dice Albino Russo, responsabile del ufficio studi della Coop. «Riempire il carrello si è trasformato in un mestiere perché anche se risparmiamo siamo attenti alla salute. E questo implica uno sforzo di eccezionale complessità: ciascuna famiglia fa la spesa due-tre volte a settimana e compra circa quindici prodotti. Ma ogni volta deve scegliere in modo consapevole tra l’assortimento di almeno 7-8mila alimenti di un supermercato. Questa capacità di riorganizzare la spesa tenendo bassi i costi ma alta la qualità è unica in Europa, quasi un’arte». Un’arte che vale miliardi di euro: «È quantificabile in 2,5 miliardi la spending review alimentare applicata dagli italiani nel 2013 — aggiunge Fornari — su una spesa complessiva di 100-105 miliardi. Un bel taglio, no?».