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 2014  marzo 12 Mercoledì calendario

IL VIZIO DELLE SPIE AMERICANE I SENATORI NEL MIRINO DELLA CIA


NELL’ORRENDO groviglio di spie che a Washington spiano le spie, di controllati che controllano i controllori, esplode la denuncia della senatrice democratica Dianne Feinstein contro la Cia sorpresa a frugare illegalmente nei segreti della Commissione Intelligence del Senato. Furiosa, indignata, in piedi nell’aula del Senato, la Feinstein, non usa mezzi termini.
LEI, obamiana della prima ora e presidente della Commissione, spiega che la Central Intelligence Agency, «senza chiedere permesso a nessuno, senza neppure avvertirci », ha allungato le proprie mani elettroniche nei computer della Intelligence Commission, perché, ha confessato sfacciatamente il direttore dell’Agenzia Brennan, «avevamo il sospetto che nei suoi lavori il Senato avesse trovato indizi ed elementi utili», senza che senatori e il loro staff se ne rendessero conto. L’impudenza della firm, della ditta, come la si definisce nel gergo degli agenti, è stata talmente irrispettosa, talmente sfacciata, da richiedere un immediato intervento del presidente Obama in difesa del direttore della Cia, John Brennan, con la canonica «espressione di fiducia». Ma se l’azione di spionaggio contro la commissione parlamentare che dovrebbe sorvegliare le attività spionistiche dell’agenzia scandalizza la Feinstein, e si aggiunge al vespaio di scandali scoperto dal transfuga Snowden, non è questa certamente la prima volta in cui la centrale di Langley viene pizzicata con le dita nel barattolo della marmellata probita.
La legge, che proibirebbe alla “ditta” di agire sul territorio americano lasciando all’Fbi il lavoro del controspionaggio, ha una lunga e torbida storia di violazioni. Giustificata inizialmente dall’imperativo della Guerra Fredda e della caccia ai rossi — come oggi dall’incubo del terrorista sotto ogni letto — già dal 1959, dodici anni dopo la creazione nel 1947, la Cia aveva creato una Divisione Operazioni Nazionali per sorvegliare, reclutare e usare americani di origine cubana contro Fidel Castro, da
poco insediato al comando dell’isola. E nel 1964, sul sangue di John F. Kennedy ancora fresco, Lyndon Johnson, ossessionato dal sospetto che dietro Lee Harvey Oswald ci fossero proprio i cubani, ordinò che corrispondenza, telefonate, contatti anche dal territorio americano diretti a Cuba o nelle nazioni del blocco sovietico fossero setacciate. Ne nacque, nel 1968, l’Operazione Chaos, riorganizzata da Richard Nixon che con la paranoia, e con l’impiego illegittimo della Cia addirittura contro l’Fbi che lo tallonava, fece la fossa nella quale precipitò, fino alle dimissioni.
Nessuno prima, o dopo Nixon, avrebbe più usato l’Agenzia come scudo per salvare la propria posizione politica o per attaccare gli avversari, come avvenne nel Watergate, che brulicava di ex agenti, informatori e complici legati alla Cia. Fu dalle inchieste generate dal disperato e incostituzionale uso interno della Centrale che sgorgarono, negli anni ‘70, le rivelazioni sui finanziamenti e le “black op”, le operazioni “in nero” nel mondo e in territorio nazionale. Dove non sarebbe arrivata la follia nixoniana, avrebbe fornito materia la psicosi della “talpa”, dell’infiltrato del Kgb, per giustificare altre forme di sorveglianza clandestina e senza autorizzazione giudiziaria di cittadini Usa sospetti di favoreggiamento del nemico.
Ma sarebbe stato l’11 settembre, il giorno del più atroce e abbagliante fallimento dello spionaggio e del controspionaggio Usa, a sciogliere i guinzagli e a confondere in un viluppo inestricabile le varie agenzie di intelligence. Dietro il velo sottilissimo della FISA, la legge che autorizzava di fatto ogni forma di controllo e di spionaggio interno o esterno purché formalmente approvato da un giudice con il “timbro di gomma”, con il sì automatico, Nsa, Cia, Fbi e l’altro grappolo di centrali di spionaggio si sono sentite libere di fare tutto ciò che poteva passare sotto l’enorme tenda della «Sicurezza Nazionale».
Il caso denunciato dalla senatrice democratica della California Feinstein — non una scolaretta fresca di elezione, ma una veterana ottantenne che siede in Senato dal 1992 — ha scandalizzato per primo proprio il direttore in carica della Cia, John Brennan, scelto da Obama. Brennan si è meravigliato dello stupore della presidentessa della Commissione. Si è difeso spiegando di avere semplicemente seguito le tracce di indagini antiterrorismo che avevano condotto negli uffici del Senato e negli archivi di impiegati e assistenti della Commissione, che non si erano resi conto di avere inciampato in dettagli e piste importanti. Il fatto che una navigatissima senatrice come la Feinstein si sia sentita in dovere di dire pubblicamente quello che Brennan le aveva confidato quasi en passant in una conservazione informale dimostra che l’invadenza della Cia, che lei pure conosce bene, era arrivata a livelli insopportabili di sfacciataggine. La senatrice ha avvertito il sentore della formula classica e micidiale del “fare il proprio dovere”, senza guardare a sottigliezze e formalismi, del “fare ogni cosa” per proteggere la nazione. Anche a costo di calpestare quelle leggi e quella Costituzione che fanno degli Stati Uniti quello che gli Stati Uniti vorrebbero essere.