Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 11/3/2014, 11 marzo 2014
CAPITALISMO DI STATO, 30 MILA PARTECIPATE E GUERRA PER LE NOMINE
C’è un dossier che Matteo Renzi e il suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan possono consultare come promemoria della stagione delle nomine pubbliche che sta cominciando. Si chiama “Ricognizione degli assetti organizzativi delle principali società a partecipazione pubblica”, lo ha preparato la Camera dei deputati ed è un utile promemoria dell’incredibile estensione dello Stato imprenditore.
I NUMERI SORPRENDONO un po’ anche gli addetti ai lavori: secondo l’ultima ricognizione del ministero del Tesoro, al 31 dicembre 2011 le amministrazioni pubbliche italiane hanno dichiarato di detenere ben 24.593 partecipazioni dirette e 5.540 indirette. Totale: 30.133. Le partecipazioni dirette dello Stato – nelle sue amministrazioni centrali – 231, altre 118 quelle indirette. Numeri che implicano migliaia di poltrone da assegnare, un sistema che si sviluppa dai grandi gruppi quotati come Eni e Finmeccanica fino al Circolo del Tennis del Foro Italico (una controllata del Coni) o alla Roma Convention Group, società di organizzazione di eventi il cui 50 per cento è detenuto da Eur, controllata dal ministero dell’Economia con il 90 per cento.
A volte anche la corsa alle poltrone subisce qualche rallentamento, dal dossier sulle imprese di Stato si scopre per esempio che ci sono società i cui vertici sono scaduti a fine 2012 e sono ancora “in corso di rinnovo”: per esempio Strategia Italia, un ramo del gruppo Invitalia che si occupa di risparmio, oppure l’Autostrada del Molise. Ma è l’allegato 5 quello che conta: tutte le società i cui consigli di amministrazione vanno rinnovati in primavera, tra aprile e giugno. Quelle più grosse sono ben note, dall’Enel all’Eni a Poste. Ma sfogliando le pagine del dossier si scopre l’esistenza di poltrone e consigli di amministrazione meno banali. Tipo la Sogesid, società al 100 per cento pubblica che si occupa di gestione di impianti idrici: scadono presidente e cda, chissà se saranno riconfermati due dirigenti come Vincenzo Assenza (presidente) e Lugi Pelaggi, ascesi ai vertici della tecnostruttura ambientale quando il ministro era Stefania Prestigiacomo, politicamente un’altra era geologica. Poi c’è la sterminata galassia Invitalia (scadono Italia Navigando e Italia Turismo). Tra le pieghe delle partecipazioni del Fondo italiano d’investimento, una delle propaggini del sistema della Cassa Depositi e prestiti, si scoprono cose come La Patria, società di vigilanza privata, o Rse, Ricerca sul sistema energetico che svolge “programmi a finanziamento pubblico nazionale e internazionale nel settore elettro-energetico e ambientale”. Scadono anche i cda di società interne a potenti ministeri di spesa, come Difesa servizi (che gestisce i beni delle forze armate) e l’Istituto Sviluppo Agroalimentare (una holding di partecipazioni e consulenza) in quello delle Politiche agricole.
Nell’albo del capitalismo di Stato figura ancora Alitalia, la bad company in amministrazione straordinaria da cui dipendono tuttora Alitalia Express, Volare e la Società italiana servizi aerei mediterranei, quest’ultima in liquidazione. Il dossier della Camera ha un obiettivo preciso: ricordare ai parlamentari che “la normativa relativa alle privatizzazioni ha lasciato indeterminato il problema delle modalità di esercizio del controllo pubblico sull’attività delle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici”. Tradotto: la privatizzazione giuridica, la trasformazione in società per azioni, ha sottratto pezzi di economia italiana al controllo democratico, “in questo silenzio della normativa è venuto meno anche il controllo parlamentare”.
DALLA FINE degli anni Settanta era obbligatorio che il Parlamento esaminasse – in una apposita commissione bicamerale – nomine e programmi delle società di cui lo Stato era azionista. Una volta privatizzate le società (nella forma, ma non nel controllo che resta quasi sempre del pubblico), resta soltanto un tentativo di controllo della Corte dei conti, che però arriva quando i danni sono già stati fatti. E così sulle 30 mila partecipazioni pubbliche e sugli oltre 300 amministratori che saranno nominati nei prossimi mesi su input di Renzi e Padoan non vigilerà praticamente più nessuno.
Twitter @stefanofeltri