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 2014  marzo 11 Martedì calendario

I DUBBI SULLA COSTITUZIONALITÀ DELLE NORME «AD GONNELLAM»


Le quote rosa come il premio di maggioranza. E di conseguenza l’Italicum come il Porcellum, con la spada di Damocle dell’incostituzionalità a pendergli sopra la testa. Che il rischio delle quote rosa sia stato scampato alla Camera non mette al riparo: da Palazzo Madama già fanno sapere che la battaglia sulla parità di genere non finisce qui e che per le quote rose ancora si lotterà. Dovessero spuntarla i senatori a favore della gender equality, il rischio costituzionalità ci sarebbe tutto.
A lanciare l’allarme è il forzista Francesco Paolo Sisto, relatore dell’Italicum in commissione Affari costituzionali alla Camera: «C’è una sentenza della Corte costituzione, la numero 422 del 1995, relatore Baldassarre», afferma l’esponente azzurro, «che dice che le quote di genere vanno contro gli articoli 3, 49 e 51 della Costituzione». Secondo la Consulta, se meccanismi come quello delle quota rosa sono accettabili come forma di disciplina intrapartito («possono essere valutate positivamente ove liberamente adottate da partiti politici, associazioni o gruppi che partecipano alle elezioni, anche con apposite previsioni dei rispettivi statuti o regolamenti concernenti la presentazione delle candidature »), sarebbero «costituzionalmente illegittime» qualora adottate in sede legislativa.
Questo il quadro, si capisce come un Italicum eventualmente approvato con la variante delle quote rosa rischierebbe di avere vita breve e travagliata. Basterebbe che chicchessia presentasse un ricorso contro la mancata parità di genere (e di questi tempi mettersi a presentare ricorso alla Consulta contro la legge elettorale è attività che si porta parecchio) per consegnare ai giudici sul proverbiale piatto d’argento l’occasione per far calare la mannaia sulla nuova legge elettorale.
A scongiurare il rischio, però, potrebbe intervenire un’interpretazione estensiva della Carta. «L’articolo 51 della Costituzione così come modificato nel 2003», nota Renato Balduzzi di Scelta Civica, «fa obbligo alla Repubblica di promuovere le pari opportunità tra uomini e donne per quanto riguarda l’ac - cesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive». Secondo l’ex ministro, «da ciò si deduce il favore costituzionale verso disposizioni che, derogando al principio di eguaglianza in senso formale, vadano verso la valorizzazione del principio di eguaglianza sostanziale. La Costituzione, quindi, non impone le cosiddette “quote rosa” ma consente, anzi incoraggia il Parlamento, a favorire le pari opportunità ».
Il rischio incostituzionalità, però, non riguarda solo le quote rosa ma anche i collegi. A proposito, ci sono posizioni contrastanti nel Pd. Secondo Marco Meloni (deputato di rigida osservanza lettiana) «l’approvazione dell’emendamento che porta il numero massimo dei collegi a 120, senza prevederne un numero minimo, ha una conseguenza molto semplice: le liste bloccate saranno certamente più lunghe rispetto a quanto previsto nella versione iniziale della legge elettorale». E se le liste risultassero più lunghe di quanto indicato dalla Consulta, il rischio di rivedersi bocciata la riforma elettorale di magistrati si farebbe concreto. Scenario in cui però non crede un altro dem, Emanuele Fiano: «Il rischio è inconsistente», sostiene, «la legge che stiamo scrivendo prevede un massimo di 120 collegi e un numero di posti in ciascun collegio variabile tra tre e sei».
M. G.