Luca Gualtieri, MilanoFinanza 11/3/2014, 11 marzo 2014
MPS, DIETROFRONT DEGLI ALEOTTI
Almeno il venditore è stato identificato. Ieri ha trovato una prima, clamorosa spiegazione il vortice di scambi che la scorsa settimana ha portato il titolo Monte dei Paschi sulle montagne russe. Consob ha infatti comunicato che mercoledì 5 (proprio il giorno in cui Mps strappava in Borsa il 19%, con oltre il 12% del capitale passato di mano) la famiglia Aleotti ha ridotto la propria partecipazione dal 4 all’1,034%.
Gli Aleotti (proprietari del colosso farmaceutico Menarini) erano entrati in Mps con un investimento da 170 milioni a inizio 2012, subito dopo il rinnovo dei vertici della banca senese e l’avvio dell’azione di risanamento. L’operazione aveva tutta l’aria di un investimento di lungo termine, fondato sulla condivisione di un progetto strategico ben preciso. A maggior ragione oggi la riduzione della quota spiazza tutti, visto che sul mercato si ipotizzava perfino un aumento della stessa con l’imminente ricapitalizzazione da 3 miliardi.
In una nota gli Aleotti hanno comunque ribadito che «la fiducia nell’attuale management Monte dei Paschi e nelle prospettive di ripresa della banca è e rimane immutata». Il comunicato informa inoltre che da diversi mesi la gestione di Finamonte (il veicolo che detiene la partecipazione in Mps) è affidata «a un cda esterno alla famiglia che pertanto gestisce le partecipazioni da essa detenute in piena autonomia». In ogni caso la cessione annunciata ieri ha fatto segnare una forte minusvalenza alla famiglia toscana, visto che nel 2012 gli Aleotti pagarono 0,37 euro per azione, un importo molto lontano dai valori raggiunti dal titolo la settimana scorsa (0,22 euro).
Di certo l’informativa della Consob ha dissipato i rumor su un’eventuale cessione da parte Fondazione Mps. Già giovedì scorso Palazzo Sansedoni aveva smentito queste indiscrezioni, ribadendo che la propria partecipazione era rimasta ferma al 31,48%. Se insomma il venditore è stato identificato, adesso resta da capire chi abbia comprato. Gli occhi sono puntati sulle potenziali «mani forti», a partire dagli hedge fund anglosassoni. Da tempo Mps è finita nel radar di soggetti speculativi stranieri, in particolare inglesi e americani. Basti pensare che già alla fine dello scorso anno, prima del rinvio dell’aumento di capitale da 3 miliardi, la banca aveva raccolto ordini per circa un miliardo da parte di investitori istituzionali. Qualcuno ha fatto il nome dell’hedge fund americano Och-Ziff Capital Management come possibile compratore di una quota consistente del Monte, ma giovedì l’indiscrezione è stata smentita dal diretto interessato. Certo è invece che nella seduta di mercoledì gli hedge Susquehanna International ed Egerton Capital hanno ridotto le rispettive posizioni nette corte sul titolo.
Il tema principale sotto i riflettori resta però la cessione della quota detenuta oggi dalla Fondazione. Palazzo Sansedoni punta a vendere larga parte del 33,5% di Mps e, come dichiarato pubblicamente dal presidente Antonella Mansi, sarebbero in corso contatti con diversi interlocutori. La partita avrebbe dovuto chiudersi entro il mese di febbraio, ma è poi slittata a marzo e oggi il closing sembra tutt’altro che imminente. Anche perché il rialzo del titolo Mps (+40% da dicembre a oggi) ha allontanato notevolmente il rischio di escussione della quota in mano all’ente. In ogni caso la cessione è attesa in tempi brevi. «I rumors secondo cui la Fondazione starebbe trattando con una controparte per la cessione di parte della quota detenuta in Rocca Salimbeni sono credibili», ha spiegato un gestore all’agenzia MF-Dow Jones, «anche considerando il prezzo del titolo in Borsa e tenendo conto che la Fondazione non può affrontare l’aumento di capitale». Alla finestra ci sarebbero diversi interlocutori stranieri, tra i quali la Qatar Investment Authority e il fondo sovrano di Abu Dhabi.
Intanto tra giovedì 6 e la seduta di ieri Palazzo Sansedoni ha ceduto sul mercato 185 milioni di azioni di Mps, pari all’1,59%, per un controvalore di oltre 40,5 milioni.
Oggi intanto il cda della banca approverà i risultati di bilancio 2013. Gli analisti stimano un rosso vicino ai 900 milioni e un margine di interesse annuo di circa 2,1 miliardi, sostenuto da un aumento delle commissioni a 1,67 miliardi. Le spese operative sono attese in calo sotto i 3 miliardi (3,2 miliardi l’anno precedente).