Lorenzo Dilena, Pagina99 1/3/2014, 1 marzo 2014
PELLICIOLI IL MASTINO, VERO POTERE OMBRA DELLA FINANZA ITALIANA
Perfino Cesare Gemmi, lo teme. Lui, il banchiere coinvolto in Cirio e Parmalat, l’uomo che dalla tolda di comando della Banca di Roma finanziava mezza politica prima di passare alla presidenza delle Generali, lo descrive come l’uomo nero che tira le fila nel primo gruppo finanziario italiano. Quello che, se ce ne fosse l’occasione, potrebbe mettere le mani sul Mediobanca, senza manco esserne azionista. Massimo Mucchetti, ex giornalista e ora senatore del Pd che ha intervistato Geronzi nel libro Confiteor, concorda descrivendolo anche lui come il burattinaio della grande finanza italiana. Uomo tanto temuto quanto rispettato, nonostante il suo enorme potere, di lui poco si parla e non molto si sa.
Di sicuro, Lorenzo Pellicioli, 63 anni a luglio, manager bergamasco di Alzano Lombardo ma con residenza a Parigi, una fama legata alla stock option da 168 miliardi che ottenne sulla vendita di Seat Pagine Gialle alla Telecom nel 2000, è stato il catalizzatore discretissimo ma infallibile di alcuni degli eventi più rilevanti e traumatici che si sono verificati ai vertici alle Generali. A cominciare proprio dalla cacciata di Geronzi, nella primavera 2011. Abilissimo a muoversi in cordata, non è tuttavia uno che ha timore di andare controcorrente.
È accaduto, per esempio, pochi giorni fa nel cda del gruppo assicurativo, dove siede in rappresentanza dell’azionista De Agostini. Era accaduto nel pieno della guerra fra il gruppo De Benedetti e la Fininvest per il controllo della Mondadori, quando se ne era andato a lavorare a Miami per la Costa Crociere. Oppure quando nel 2001, lasciò la Telecom, dopo che Tronchetti Provera ne era diventato l’azionista di riferimento.
Per restare alle cronache recenti, Pellicioli è stato l’unico a votare contro nel cda delle Generali che pochi giorni fa ha deliberato una causa di lavoro contro l’ex ad Giovanni Perissinotto e l’ex direttore generale Raffaele Agrusti. Tutti gli altri consiglieri si sono infatti piegati alle sollecitazioni che arrivano dalle autorità di vigilanza. Eppure, nell’estate di due anni fa, proprio lui, d’accordo con Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, era stato uno degli artefici della cacciata di Perissinotto. Stavolta ha giocato forse la volontà di non inferire su una partita d’affari già chiusa con successo, o la convinzione che sulla gestione passata è meglio metterci una croce sopra. Ma anche la consapevolezza che l’ex numero uno del gigante assicurativo (che amministra una cosa come 400 miliardi di euro) non aveva battuto ciglio all’epoca dell’acquisizione della Toro Assicurazioni, ceduta dalla De Agostini alle Generali a caro prezzo. Allora come oggi Pellicioli era amministratore delegato del gruppo editoriale di Novara, che nel tempo ha diversificato il suo business nei giochi (Gtech/Lottomatica), nei media (Zodiak, Atres con Antena 3 in Spagna) e nella finanza (Dea Capital). L’operazione Toro fruttò una plusvalenza di 1,5 miliardi di euro. E segnò la santa alleanza fra Nagel (primo azionista delle Generali) e Pellicioli, che di Piazzetta Cuccia è stato poi il fedele alleato nelle partite di potere a Trieste.
Non che sia stato un buon affare, puntare sulle Generali. Comprate a 25 euro cadauna nel 2007, le azioni del Leone oggi quotano poco sopra 16 euro. La strada da fare, però, prima di riprendere le quotazioni pagate nel 2007 è lunga. E per ridare la spinta al titolo non basteranno certo le pulizie di bilancio fin qui condotte da mario Greco, il manager che ha preso il posto di Perissinotto. Né basterà la contrazione dello spread tra Btp e Bund.
Nei giorni più neri della crisi finanziaria globale l’esposizione su Trieste e i debiti fatti da Lottomatica per comprare Gtech, operatore di lotterie americano, hanno suscitato qualche preoccupazione dentro e fuori il gruppo De Agostini, costretto a ricapitalizzare.
Ma è acqua passata, comunque. Le famiglie Draghi e Boroli, proprietarie della De Agostini, non gliene hanno mai fatto una colpa, avendo peraltro condiviso l’operazione sin dall’inizio. A parte la ricca plusvalenza realizzata con la cessione della Toro, infatti, a Pellicioli devono l’ancora più ricco bottino portato a casa con l’operazione Seat Pagine Gialle. Ben 3.500 miliardi di lire esentasse, cui si aggiungono i guadagni del fondo Investitori Associati della Comit e l’incasso dello stesso Pellicioli, quasi 168 miliardi.
L’unico vero cruccio del manager bergamasco, semmai, è il sapore del vino che produce sotto l’etichetta Abbaye dei Pierredon, nella sua tenuta da 600 ettari acquistata anni fa a Saint-Rémy, in Provenza. Nonostante gli sforzi e i denari profusi nell’impresa, infatti, i risultati restano ancora insoddisfacenti, ha confidato di recente a un banchiere ben inserito nei salotti della finanza rossa milanese. E quel che è peggio è che il giudizio di Pellicioli è condiviso da non pochi degli estemporanei assaggiatori, che ogni tanto gli riservano qualche battuta. Ma il recente ingaggio di un nuovo enologo dovrebbe aiutare a stemperare le ironie e magari preparare a dovere il nettare rosso per brindare, se mai ce ne sarà l’occasione, alla conquista di Mediobanca profetizzata da Geronzi. Sempre m silenzio, nel buio, come si addice all’uomo nero della finanza italiana.