Marco Bresolin, La Stampa 11/3/2014, 11 marzo 2014
IN EUROPA LA PARITÀ È LONTANA E LE QUOTE ROSA NON AIUTANO – [OTTO STATI HANNO LEGGI ELETTORALI AD HOCMA SPESSO NEI PARLAMENTI I RISULTATI SONO SOTTO LE ASPETTATIVE I PAESI PIÙ VIRTUOSI SONO QUELLI SCANDINAVI: C’È DAVVERO BISOGNO DI REGOLE O È UNA QUESTIONE CULTURALE?]
Da una parte ci sono le leggi, dall’altra i codici di autoregolamentazione dei partiti. Ma, a ben guardare, lo strumento più efficace per favorire la parità di genere in politica non sono le regole, bensì la cultura. Perché ai primi posti nella classifica dei parlamenti più rosa (o agli ultimi posti di quelli meno rosa) ci sono proprio quei Paesi che non hanno avuto bisogno di inserire le quote per legge.
Il record spetta alla Svezia, con 157 donne su 349 nel Riksdagen: il 45%. Parità quasi perfetta, anche perché quasi tutti i partiti si sono dati regole interne per riservare il 50% dei loro posti in lista alle donne. Discorso simile nella vicina Norvegia (40% di donne nello Stortinget) e in Islanda (40%). Ma il dato più interessante arriva da Finlandia e Danimarca: nel parlamento di Helsinki le donne sono il 42,5% e in quello di Copenhagen il 39%, ma in questi Paesi non esistono quote fissate per legge e nemmeno dai regolamenti dei partiti. Anzi, a dire il vero delle regole interne c’erano, ma sono state abolite a metà Anni ’90: non c’è più bisogno, la questione della parità di genere ormai non esiste più. Il sistema, in pratica, si è autoregolamentato da sé.
Le leggi fallimentari
Tra i 28 Paesi dell’Ue, soltanto otto regolano per legge la rappresentanza di genere. Ma i risultati non sempre sono quelli sperati. In Polonia, per esempio, ogni partito deve presentare almeno il 35% di candidati donne, ma in Parlamento sono solo il 24%. In Grecia i partiti sono obbligati a lasciare un posto su tre alle donne, eppure le elette sono solo un quinto. Il fallimento più notevole è quello irlandese, dove la fetta rosa del Parlamento non supera il 15%. Ovviamente ci sono anche Paesi in cui i meccanismi funzionano, come in Belgio o in Spagna: a Bruxelles le donne sono il 39% del totale, a Madrid il 36%. Numeri importanti, sebbene l’Olanda riesca a fare molto meglio (39%) senza alcuna legge ad hoc. Sono molto lontani da quel traguardo sia la Francia che il Portogallo, gli altri due Paesi europei che hanno deciso di mettere dei paletti normativi: le donne sono il 27% del totale, molto meno che in Italia, dove la Camera ha eletto il 31% di deputate senza nessuna legge. La media Ue resta bassa: solo il 26,2%.
Chi sbaglia (non) paga
Tra i motivi che portano al fallimento delle leggi elettorali con annessa quota rosa c’è senza dubbio il sistema sanzionatorio. In alcuni casi si arriva ad escludere dalle elezioni i partiti non a norma con le quote rosa (in Belgio o in Polonia), altrove la lista viene bocciata e i partiti devono rimetterci mano (Spagna, Slovenia o Grecia). Ma c’è anche chi usa metodi più soft: in Francia e in Portogallo chi sgarra rischia solo una decurtazione dei rimborsi elettorali (direttamente proporzionale allo squilibrio di genere), così come in Irlanda (50% di soldi in meno). E infatti i risultati parlano da soli.
I meccanismi
Il sistema bocciato ieri dalla Camera italiana prevedeva un sistema molto simile a quello in vigore in Belgio: 50% di candidati donne in lista con alternanza di genere nei primi due posti. In Spagna, invece, si va da un minimo del 40% a un massimo del 60% per ogni genere, percentuale che deve essere rispettata nelle prime cinque posizioni di ogni lista. Metà posti riservati alle donne nelle elezioni legislative all’Assemblée in Francia, dove sono altresì previste regole ferree per le altre elezioni (alternanza in quelle a turno unico). Ogni tre candidati portoghesi, almeno uno deve essere di un altro sesso, mentre l’esperimento irlandese è tutto in salita: si è partiti da una quota rosa minima del 30% con l’obiettivo di arrivare al 40%, ma il traguardo è molto lontano (15%). Tra i 28 Paesi dell’Ue, il più «maschilista» è l’Ungheria: soltanto 35 donne su 386 deputati (il 9%). Anche perché le regole del Partito Socialista prevedono di riservare alle donne il 20% dei seggi, non uno di più.
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