Elvira Serra, Corriere della Sera 11/3/2014, 11 marzo 2014
LAURA, I NIPOTI, IL FIDANZATO E LA FELICITÀ MA NON RIESCE A VEDERSI (BELLA) COM’È
ROMA — Quando dichiara di soffrire di dismorfofobia — è un’autodiagnosi, evidentemente — tocca consultare il dizionario Oxford di medicina: «Convincimento ostinato e angoscioso che il proprio corpo sia deforme e repellente o paura morbosa che possa divenire tale». Lei semplifica: «È l’alterazione della percezione che hai di te stessa, ti vedi come non sei. Ma io questa cosa la sto mettendo a posto».
Laura Chiatti è sorprendente. L’abbiamo appena vista su RaiUno nei panni della vicemamma del «Bello» di Braccialetti rossi e poi, ancora, nel nuovo spot di Rocchetta, dove ha preso il posto di Cristina Chiabotto e, in attesa di «ricongiungersi» con Alex Del Piero per Uliveto, si «allena» con una finta nipote che da grande vuole diventare bella come lei. La nipote vera, invece, si chiama Emily, ha sette anni e non dice più di voler fare l’attrice come la zia. «“È proprio una bella rottura di scatole, ti chiedono tutti l’autografo”, sbuffa quando siamo al ristorante e magari il personale della cucina esce a chiedermelo. In effetti non li capisco neppure io. Cioè, la foto sì, la mia firma proprio no», spiega Laura.
Total black dalla testa ai piedi, pastrano nero che nasconde anche solo l’idea di pancia (è inutile chiedere conferme sulla sua presunta gravidanza, come pure dettagli sulle nozze estive con il collega Marco Bocci, umbro come lei), è seduta su un divanetto dell’ufficio romano della sua agente e amica Alessandra Lateana, qui in versione cerbero nel fissare i paletti: «Niente domande sulla vita privata». Ma Laura, sul fidanzato, risponde lo stesso: «Non c’è nulla di male a dire che sono molto felice e molto innamorata».
A dispetto dell’armatura scelta per l’occasione, si illumina e si addolcisce se parla di ciò che la fa sentire una donna normale: «Essere zia, anzitutto. Quando torno a Perugia vado a prendere Emily a scuola, la porto a casa, mangia con me, facciamo i compiti, poi usciamo per ritirare dall’asilo il fratellino Elia di due anni e mezzo, e andiamo alle giostre, al cinema, nella sala giochi». Non è un caso che tra dieci anni si immagini con tre figli, ancora attrice, serena.
Quello che non ti aspetti, invece, è quanto le costi recitare. «Nessuno crede che io sono terrorizzata e me la faccio sotto. Mi sento inadeguata, non all’altezza della situazione, preferisco stare due passi indietro per paura di sbagliare. Però questo è caratteriale, facevo così anche da ragazza». Confessa di amare la sua vita «fuori dal cinema», i festival la annoiano, ma sul lavoro è molto disciplinata. «Quando sto a Roma, nella casa ai Parioli che ho preso in affitto sette anni fa, i miei ritmi sono molto precisi: sveglia alle sei, poi vado sul set, rientro a casa alle otto di sera, mangio, doccia, letto. Se invece non lavoro, come oggi, mi alzo tardi, anche alle 11.30: soffro di insonnia, passo le ore a guardare il soffitto. A Perugia, anzi a Magione, c’è mia mamma che pensa a me, mi prepara la pizza e i tortellini in brodo».
Non ha sempre voluto fare l’attrice, anzi. «Non vengo da una famiglia di artisti, anche se mio padre e mia madre lo erano, a modo loro: lui metalmeccanico, lei titolare di un negozio di abbigliamento. Sognavo semmai di diventare cantante, ma avevo troppa ansia da prestazione, sono emotiva. Ed è curioso che oggi riesca a cantare per divertimento». La paura ancora da superare è quella della diretta. «Non ho preferenze tra ruoli per il cinema o per la tivù. La cosa per la quale non mi sento ancora pronta, e mi piacerebbe molto affrontare, è un bel musical a teatro». La bioenergetica la sta aiutando: «Ne faccio un’ora e mezzo alla settimana, mi serve a riallineare corpo e mente. Non ci credevo molto, prima, e invece ho visto i risultati, ormai la pratico da più di un anno».
Se rinascesse farebbe la criminologa. «Sono appassionata dei programmi di cronaca nera: Chi l’ha visto? , Linea gialla , Quarto grado ». Garantista fino all’ultimo, la infastidisce che si cerchi subito il colpevole tra le mura domestiche, nonostante le statistiche sulla violenza di genere conducano verso quella direzione: «Parolisi, secondo me, è innocente».
Rivendica il diritto di andare ai provini con tacco assassino e trucco e parrucco appena fatto, perché a lei piace così. «Il regista deve essere lungimirante e guardare i miei occhi, non il mio corpo. Sai quante volte dopo che recito una scena mi dicono: però che brava!, come se da me non se lo aspettassero».
L’inglese non riesce proprio a impararlo. «Ho abbandonato 7-8 corsi, finora. Non sono abbastanza motivata. Del resto, non sarò mai Meryl Streep, non andrò a Hollywood, mi piace lavorare qui in Italia e assicurarmi un futuro tranquillo nel nostro Paese».
Elvira Serra