Marco Panara, Affari&Finanza 10/3/2014, 10 marzo 2014
BASSANINI: “PA, MAI PIÙ FATTURE NEL CASSETTO”
[Franco Bassanini]
Mai più fatture nel cassetto. Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che insieme a Marcello Messori ha elaborato una proposta per il pagamento totale dei debiti commerciali della PA senza incidere sul deficit del bilancio dello Stato, ha la sua ricetta: «Bisogna stabilire in maniera inequivocabile, prevedendo anche sanzioni severe per i funzionari che non si adegueranno, che di fronte alla presentazione di una fattura l’amministrazione ha solo tre possibilità: pagarla; certificarla se la prestazione è stata effettuata ma non ha i soldi per saldarla subito; contestarla se la prestazione non è stata effettuata o non è in linea con il contratto. Metterla nel cassetto non deve essere più una opzione». Questa è la strada per il futuro, ma intanto c’è da risolvere il problema del passato. 70, forse 80 miliardi di euro da trovare per chiudere definitivamente con il pregresso, come promesso da Matteo Renzi. Dove trovarli?
Arriverà, si prevede, la prossima settimana, e non dovrebbe discostarsi molto dalla proposta del presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini e dell’economista Marcello Messori. E’ la soluzione per soddisfare la promessa scandita da Matteo Renzi nell’aula del Senato due settimane fa: il pagamento to-ta-le dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Senza sforare il tetto del 3 per cento del deficit pubblico.
Presidente Bassanini, di che cifra si tratta?
«L’unica valutazione è quella fatta dalla Banca d’Italia, che un anno fa stimava in 90 miliardi circa il totale dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni a fine 2012. A quella cifra vanno aggiunti gli ulteriori debiti accumulati nel 2013 e vanno sottratti i 24 miliardi già pagati nel 2013 e nei primi due mesi di quest’anno».
Possiamo ipotizzare che siamo ancora oltre 80 miliardi. Dove si possono trovare senza superare il limite del 3 per cento imposto da Maastricht al deficit pubblico?
«Dobbiamo distinguere in quella cifra i debiti relativi a operazioni in conto capitale e quelli di parte corrente. Non sappiamo esattamente quanti siano i primi e quanti i secondi ma si presume che i primi siano il 20 per cento del totale e i secondi l’80».
Perché è importante questa precisazione?
«Perché le operazioni in conto capitale sono contabilizzate per cassa, dunque solo quando vengono pagati, sia dall’Europa che dal Patto di stabilità interno. Le partite correnti sono invece contabilizzate dal Patto di stabilità interno per cassa e dall’Europa per competenza, il che vuol dire che l’Europa considera l’uscita nel momento in cui si ordina la spesa e non nel momento in cui la si paga».
Questa sottile distinzione come interferisce sul pagamento di quei debiti?
«I debiti relativi alle partite correnti degli anni passati, essendo già contabilizzati come debiti dall’Europa, rientrano nel tetto del 3 per cento del deficit di quegli anni e non dell’anno in cui verranno pagati, mentre il pagamento dei debiti per operazioni in conto capitale inciderà sul deficit dell’anno in cui verrà effettuato. Quindi i debiti in conto capitale che saranno pagati nel 2014 incideranno sul deficit di quest’anno, mentre il pagamento di quelli di parte corrente degli anni passati non inciderà sul deficit del 2014 ma solo sull’ammontare del debito».
La distinzione è chiara, si possono pagare i debiti in conto capitale solo se si trovano i soldi nel bilancio pubblico senza sforare il 3 per cento. Ma il grosso, quell’80 per cento di debiti di parte corrente, quei 60, 70 o forse più miliardi di euro che si vuole immediatamente saldare dove si trovano?
«Nelle banche. La proposta presentata da Messori e da me a nome di Astrid ( una Fondazione che si occupa di istituzioni e politiche pubbliche, ndr) prevede tre cose: che i debiti commerciali vengano tutti certificati dalla amministrazioni debitrici; che vengano garantiti dallo Stato; che siano cedibili dai creditori alle banche, conservando la garanzia dello Stato solo se lo sconto applicato è inferiore al 2 per cento».
Ma le banche che interesse hanno a rilevare crediti che non si sa quando saranno saldati e con uno sconto così basso?
«Molto interesse, a sentire i banchieri. Innanzitutto perché quel credito con la garanzia che lo accompagna non consuma patrimonio di vigilanza, e poi perché possono darlo come collaterale alla Bce per ottenere liquidità. Ma c’è di più: tutte o quasi le imprese creditrici della PA si sono indebitate con le banche per pagare dipendenti e fornitori e non pochi di quei debiti si trovano tra quelli in sofferenza. In pratica le banche potranno sostituire questi crediti comunque rischiosi o addirittura incagliati con crediti garantiti, migliorando a un tempo la qualità del loro portafoglio e la loro possibilità di immettere denaro nell’economia». E guadagnarci anche. Alle banche quindi va bene, ma qual è il vantaggio per l’economia?
«E’ notevole. Le imprese vengono finalmente pagate e possono a loro volta ridurre i loro debiti non solo con le banche ma anche con i loro fornitori. Possono investire, possono rimettere in moto il ciclo. JP Morgan ha calcolato che il pagamento dei 30 miliardi circa di debiti commerciali della PA spagnola ha influito sul PIL del paese per l’1,2 per cento, in Italia l’aumento del PIL potrebbe essere ancora maggiore. Ma c’è un altro effetto importante: in una economia moderna la distruzione creatrice svolge una funzione importante, presuppone che le imprese mal gestite scompaiano e ne nascano di nuove più efficienti. Ma se le imprese falliscono non perché mal gestite bensì perché la PA non paga i suoi debiti non c’è più distruzione creatrice ma distruzione e basta».
E la pubblica amministrazione cosa ci guadagna?
«Innanzitutto i suoi fornitori vengono pagati, il che aumenta la fiducia e la credibilità. Poi, poiché le aziende creditrici operano spesso in sospensione di imposta, ovvero non pagano l’Iva su fatture che non hanno incassato, incassandole pagherebbero l’Iva e nelle casse dello Stato arriverebbero 4 o 5 miliardi. Terzo, si eviterebbe di dover scegliere quali creditori pagare prima e quali dopo, evitando così molti passaggi farraginosi e spesso opachi ».
Forse è proprio di quei passaggi che le amministrazioni non si vogliono privare. Ma passiamo oltre: dopo che le imprese hanno ceduto i loro crediti alle banche cosa succede?
«Succede che banche e amministrazioni ristrutturano il debito, prevedendo il pagamento in un periodo che può arrivare a cinque anni. Così ogni amministrazione paga il suo debito e non accade che i cittadini di Potenza debbano pagare il debito di Pistoia, oppure che Cuneo o Macerata possano pensare di fare debiti come loro aggrada sapendo che alla fine paga qualcun altro: niente azzardo morale. Naturalmente vogliamo che gli interessi che le PA dovranno pagare alle banche siano bassi: sarà possibile perché quei crediti avranno il rating dello Stato italiano, grazie alla garanzia, e perché prevediamo che siano ’portabili’ come già lo sono molti mutui. In pratica l’amministrazione debitrice potrà scegliere la banca che le fa le condizioni migliori, mettendo così in concorrenza i vari istituti».
L’agenzia di rating Fitch ha messo sotto osservazione la Cdp per il suo ruolo in questa operazione. Quali rischi corre la Cassa?
«Fitch probabilmente ha interpretato male l’ipotesi di coinvolgimento della Cdp, il cui patrimonio non corre alcun rischio. La Cassa infatti entra nell’operazione solo in un secondo momento, per ammontari limitati e, soprattutto, con una doppia garanzia».
In quale momento?
«Se alcune PA si riveleranno incapaci di ripianare il debito in cinque anni, sulla base di un accordo da stipulare tra Cdp e Abi, le banche potranno cedere alla Cassa questi crediti entro un limite annuo da determinare. In quel caso la Cdp, che è nata per finanziare gli enti locali e infatti lo fa per circa 90 miliardi, ristrutturerà a sua volta quel credito con durate più lunghe consentendo ai debitori di avere rate di ammortamento più contenute. Tutto ciò senza alcun rischio, perché c’è sempre la garanzia dello Stato e perché la Cdp gode della delegazione sul pagamento delle imposte, ovvero di una garanzia specie che le consente di incassare direttamente le tasse pagate dai cittadini prima che queste arrivino nelle casse delle rispettive amministrazioni. E’ questa la ragione per la quale sui nostri 90 miliardi di crediti nei confronti delle amministrazioni pubbliche noi abbiamo zero sofferenze ».
Mi scusi, ma se la proposta è come lei la descrive ed è stata presentata nel maggio del 2013, perché si arriva ad adottarla solo adesso?
«A Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni la nostra proposta piaceva, ma al ministero dell’Economia furono opposti prima molti dubbi sulla compatibilità con la normativa esistente, che ovviamente può essere superata da una nuova normativa, quindi altri dubbi sulla compatibilità con l’Europa, fugati dallo statement dei vicepresidenti della Commissione di Bruxelles Olli Rehn e Antonio Tajani i quali hanno invitato anzi a procedere rapidamente, infine dubbi sull’impatto che l’aumento del debito avrebbe avuto sui mercati: probabilmente nullo, visto che i mercati sanno benissimo che l’Italia ha debiti commerciali per alcune decine di miliardi anche se non sono ancora inclusi nel rapporto debito-pil. Comunque non se ne fece nulla. C’è stato un tentativo parlamentare nell’estate al Senato, con un emendamento al Decreto Giovannini poi approvato, che assumeva l’articolato da noi proposto ma con due modifiche dirompenti: la prima prevedeva la perdita della garanzia pubblica sul credito al momento in cui questo veniva ristrutturato, la seconda che tutta l’operazione era consentita nei limiti di un plafond annuo stabilito da un decreto ministeriale, che non è mai stato adottato».
E adesso?
«Renzi spinge e Padoan se ne sta occupando di persona, dunque penso che nei prossimi giorni il testo andrà al Consiglio dei ministri. Ma sulla base dell’esperienza di questi mesi alla nostra proposta aggiungerei qualcosa. Il Decreto Grilli ( quello in base al quale sono stati effettuati i 24 miliardi di pagamenti nei mesi scorsi, ndr) prevedeva che entro il 15 settembre 2013 tutte le amministrazioni comunicassero i loro debiti commerciali scaduti alla piattaforma elettronica del ministero, dove però sembra restino da pagare solo per qualche miliardo: sorge il dubbio che molte fatture rimangano ancora chiuse nei cassetti ».
Come si fa a farle uscire?
«Innanzitutto sarebbe opportuno rendere esplicito che quei debiti non vengono contabilizzati nel patto di stabilità interno. C’è una ragione per farlo: poiché il patto di stabilità interno serve a rispettare il patto di stabilità europeo e poiché l’Europa ha già contabilizzato quei debiti, non ha nessun senso contabilizzarli di nuovo. Ma bisogna anche stabilire in modo inequivocabile, prevedendo sanzioni serie per i funzionari che non lo faranno, che di fronte alla presentazione di una fattura l’amministrazione ha solo tre possibilità: pagarla; certificarla, se la fornitura è stata effettuata ma non ha i soldi per saldare subito la fattura; contestarla se la prestazione non è stata effettuata o non era in linea con il contratto. Metterla nel cassetto non deve essere più una opzione. Così come c’è una responsabilità penale per chi paga fatture per lavori non eseguiti o le paga due volte, ci deve essere una responsabilità anche per l’inerzia».
Ammettiamo che si arrivi ad applicare anche queste regole di buon senso, basterebbe?
«Dovrebbe bastare per il passato e anche per il futuro, per evitare che si creino nuovamente situazioni simili. Le amministrazioni dovrebbero mandare copia delle fatture alla piattaforma centrale entro trenta giorni, ma potrebbero mandarle in parallelo anche le imprese, così dal centro si avrebbe la possibilità di una doppia verifica. Poi dal primo luglio partirà la fatturazione elettronica per l’amministrazione centrale e nel luglio 2015, ma si dovrebbe fare il massimo per stringere i tempi, anche per tutte le amministrazioni locali. A quel punto il problema dovrebbe essere risolto». Il che ci fa temere che la fatturazione elettronica troverà molti ostacoli sul suo cammino.