Dario Di Vico, Corriere della Sera 10/3/2014, 10 marzo 2014
I CONFLITTI D’INTERESSE DELLE COOP DI GOVERNO
La nomina di Giuliano Poletti al governo ha aperto in automatico una fase nuova della vita del movimento cooperativo italiano. La prima discontinuità è legata al riconoscimento implicito che la figura del cooperatore ne ha ricavato: le coop sono diventate, almeno sperimentalmente, un bacino di classe dirigente da cui pescare. Come i sindaci. È vero che già in passato le coop avevano prodotto in buona quantità quadri dirigenti, ma l’interazione era rimasta confinata nell’ambito della sinistra.
Adesso però da Matteo Renzi è arrivato un riconoscimento universalistico che comporta nuove responsabilità e un potenziale conflitto di interessi. Poletti era un funzionario della Lega Coop e si è dimesso ma i riflettori sono ormai accesi sui possibili favoritismi che, grazie alla sua presenza al governo, potrebbero arrivare al movimento delle coop. In più il neoministro ha iniziato il praticantato televisivo a Ballarò con una gaffe («rappresento 12 milioni di cooperatori») che non ha certo aiutato nella fase di decollo della sua figura pubblica.
Le primissime polemiche sul conflitto di interessi non hanno agevolato nemmeno i rapporti tra bianchi e rossi perché i primi, rappresentati dalla Confcooperative, hanno cominciato a temere di restare schiacciati su un asse Coop-Pd, quando invece lo sforzo che si era fatto con la nascita di un organismo unitario, l’Alleanza delle Cooperative, era stato proprio quello di lasciarsi alle spalle i tempi di Peppone e don Camillo. Va riconosciuto però a Poletti di essersi strenuamente battuto per l’unità tanto da aver rinunciato a candidarsi in Parlamento alle ultime politiche proprio per seguire da vicino un progetto che, nella sua visione, dovrebbe portare in un paio d’anni all’unità organica.
La successione al neoministro non sembra in questi primi giorni aver scatenato guerre. Nella Lega Coop il presidente è una figura che si occupa di rappresentanza e non di business, gli affari sono di stretta pertinenza dei top manager delle principali aziende cooperative e la loro autonomia è pressoché assoluta. Non è detto però che a succedere a Poletti sia un altro funzionario, la Lega potrebbe decidere di adottare un modello confindustriale e scegliere di volta in volta uno dei capi-azienda.
In questo modo la nomina non sarebbe più «vita», la rotazione sarebbe più veloce e nello stesso tempo si produrrebbe una conduzione più soggettiva. Tutto ciò in un universo come quello cooperativo, poliarchico e abituato a movimenti lenti, segnerebbe un’ulteriore discontinuità. L’unica cosa che appare certa è che il nuovo presidente — funzionario o manager che sia — sarà di estrazione emiliano-romagnola anche questa volta.
Il tema più spinoso del dopo-Poletti non riguarda però i potenziali conflitti di interesse o gli organigrammi ma il rapporto tra i valori del movimento e l’impatto della crisi. In questi cinque anni le coop hanno resistito alla recessione con la tradizionale cassetta degli attrezzi, al contrario dei privati hanno rinviato le ristrutturazioni aziendali e sono rimasti fedeli alla linea del solidarismo. Ma il Sesto anno della crisi li costringerà in tempi brevi a cambiare registro. Prendiamo, ad esempio, un settore-chiave come quello delle costruzioni. Il mercato interno è inchiodato e le coop rosse del mattone stanno attraversando difficoltà che non avevano mai conosciuto. È arrivato il momento di realizzare aggregazioni attorno ad alcuni poli (le imprese reggiano-modenesi da una parte e quelle bolognesi-romagnole dall’altra), creando imprese più robuste e capaci di battersi non solo sui mercati locali. Il costo sociale di queste operazioni però è elevato, non è facile mettere in mobilità un socio e il rischio che temono i gruppi dirigenti è di oscurare l’anima cooperativa. O come dicono nel loro lessico «di omologarci alle aziende private».
Ma almeno nelle costruzioni e nel settore del welfare decisioni come queste non sono rinviabili sia per far fronte alla crisi sia per tenere il passo dei concorrenti. Paradossalmente in almeno altri due settori, agro-alimentare e grande distribuzione, è parimenti urgente operare accorpamenti e fusioni ma in questi casi si tratta di operazioni necessarie per sostenere le ambizioni di imprese leader come Coop Italia o Granarolo che premono per crescere di taglia. Per tutti questi motivi il dopo-Poletti si presenta come una grande scommessa che stavolta però interessa l’Italia e non la sola sinistra.