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 2014  marzo 10 Lunedì calendario

IL PREGIUDIZIO ANTIROMANO NATO CON L’UNITÀ D’ITALIA


La mala amministrazione del centrodestra al Comune di Roma e in alcune sue aziende partecipate, col deciso appesantimento dei debiti parallelo alla moltiplicazione degli addetti (senza che si notasse un qualche miglioramento nei trasporti o nella nettezza urbana, anzi) ha fatto molto male alla Capitale. Ha infatti imposto un aumento delle aliquote tributarie. Ha screditato ulteriormente la sua immagine consentendo ai leghisti lumbàrd e veneti nonché alle truppe sparse del M5s di attribuire a Roma e ai romani privilegi e dissipazioni.
La tabella che riportiamo mostra chiaramente come perduri e pesi la situazione di netto svantaggio di cui Roma soffre nei trasferimenti statali pro-capite rispetto alle stesse città del Centro-Nord: per abitante ha ricevuto infatti, nel 2011, quasi cento euro meno di Firenze, oltre cento meno di Genova, oltre cinquanta meno di Milano e una sessantina meno di Bologna. Con un peggioramento l’anno dopo avendo subito un taglio del 38%. Qui però, lo confesso, non so quanto abbia ricevuto il Comune di Roma dagli stanziamenti per Roma Capitale. Ritrovo però i dati onnicomprensivi dell’inizio del decennio e vedo che nel 2000 e nel 2001 la città aveva avuto trasferimenti erariali per 505,4 milioni di euro di cui 103,29 alla voce «Roma Capitale». L’anno dopo era andata un po’ meglio grazie però all’accresciuto contributo ordinario, mentre era rimasto uguale quello per Roma Capitale. Per ogni romano si contavano così 222,68 euro di trasferimenti, saliti nel 2002 a 257,25 per l’aumento a 206 milioni dei fondi per Roma Capitale. Con tutto ciò Roma riceveva per ogni residente una cifra pro-capite molto inferiore a quella riservata a Napoli (quasi doppia) e inferiore non di poco a quelle assegnate a città del Centro-Nord con un reddito per abitante in media più elevato.
È così da oltre trent’anni. Da quando cioè venne effettuato un riparto dei trasferimenti erariali ai Comuni che non solo non riconosceva a Roma i costi straordinari dovuti al suo essere capitale e doppia capitale (ambasciate, organismi internazionali, visite di Stato, raduni ecumenici, ecc.), ma la metteva all’ultimo posto fra i primi dieci capoluoghi di provincia d’Italia. Poi è intervenuto, nell’85, il disegno di legge Craxi-Mammì per Roma Capitale divenuto legge soltanto nel 1989 con finanziamenti tuttavia altalenanti. Ricordo che quando Bettino Craxi presentò, nel 1985, l’importante provvedimento nella cornice del San Michele, tenne un discorso non benevolo nei confronti della capitale ancora amministrata, per poco, dalla giunta di sinistra guidata da Ugo Vetere, il quale era stato uno dei più attrezzati assessori comunali al Bilancio. E Ugo mi mormorò: «Ci ha fatto una lezione proprio da milanese...».
Pensate: era la prima legge speciale per Roma dal 1946. Dopo i privilegi e i grandi investimenti “imperiali” del duce, la Dc aveva scelto di tenere un basso profilo. Era, credo, la terza legge speciale dall’Unità d’Italia in regime democratico. C’erano state soltanto due leggi entrambe firmate da Francesco Crispi, l’ex garibaldino passato alla destra autoritaria ed entrambe accolte da dibattiti molto vivaci in aula. Eppure nel 1881 a fare da relatore era uno degli uomini più rispettati della Destra Storica, Quintino Sella, il vero regista della Terza Roma. Non bastò ad evitare l’accusa di «accentramento sociale» a danno degli altri Comuni. Dal collega liberale Adolfo Sanguinetti al “papalino” Giuseppe Toscanelli. Alla fine, 194 voti favorevoli e 70 contrari, non pochi. Alessandro Fortis – futuro presidente del Consiglio – notò nella discussione «un fondo d’indefinibile gelosia verso questa Roma». Nel 1890, di fronte alla nuova legge speciale, il dibattito si mosse su linee diverse, si temeva cioè che l’autoritarismo di Crispi limitasse l’indipendenza del Campidoglio e poi degli altri Comuni. Insomma, al più, un amore “freddo”. Adesso siamo all’aperta ostilità, al «contro Roma». Che, nella possibile neonata sintonia Grillo-Salvini, rida impulso propagandistico alla secessione. Ha ragione Walter Tocci: bisogna riformare a fondo l’amministrazione di Roma Capitale partendo dalla Città Metropolitana che non può essere un semplice allargamento alla Provincia.