Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 9/4/2014, 9 aprile 2014
I SEPARATISMI DENTRO L’EUROPA
L’ipotesi della secessione chiesta dal Parlamento di Crimea attraverso un referendum riaccende i fari sul tema caldo delle richieste di separazione attraverso il voto popolare in Europa.
In questa speciale classifica dei separatismi in lista d’attesa c’è, ad esempio, la Scozia, con un referendum già fissato per il 18 settembre 2014 per stabilire se dividere il destino di Edimburgo da quello di Londra: secondo i sondaggi l’esito del voto in questo momento è incerto, (solo il 30% dell’elettorato è a favore dell’indipendenza, il 50% preferisce lo status quo e il 20% non ha ancora deciso).
La partita scozzese si giocherà non sui richiami storici all’indipendenza, ma su un piano più prosaico di convenienza economica dove il partito nazionalista Snp, guidato da Alex Salmond, sottolineerà i vantaggi derivanti dal fatto che Edimburgo potrà finalmente gestire le sue ricchezze, dal petrolio del Mare del Nord al fiorente turismo, dalla pesca al whisky, a esclusivo vantaggio degli scozzesi e non di Londra.
Non si può poi non sottolineare la contraddizione del premier conservatore britannico, David Cameron, che in casa contrasta le pretese indipendentiste scozzesi e nel contempo non perde occasione di prendere le distanze dalle politiche di Bruxelles in un tentativo di recuperare sovranità perduta e mettere all’angolo gli euroscettici sempre più numerosi nel suo stesso partito. Cameron ha promesso un referendum secco, fuori o dentro l’Europa, da tenersi per la fine del 2017 per rinegoziare, su posizioni di forza, i Trattati europei; ma a quel punto ha fatto uscire il genio dalla lampada e ora non riesce più a fronteggiare nei sondaggi i populisti sostenitori dell’United kingdom independence party di Nigel Farage che secondo stime YouGov a gennaio aveva il 26% del voto dichiarato contro il 23% dei conservatori.
L’altro grande movimento separatista in Europa che vuole il ricorso alle urne è quello catalano. Il governo locale, della parte più ricca e dinamica della Spagna, vorrebbe andare al voto il 9 novembre 2014, ma il Governo centrale guidato da Mariano Rajoy sostiene che la consultazione autonomista è anticostituzionale, non si può fare. Il Parlamento centrale di Madrid non darà mai il via libera a una consultazione di quel tipo.
Il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, ha più volte dichiarato che se Madrid bloccherà la consultazione referendaria intende trasformare le elezioni regionali del 2016 in un voto sull’indipendenza (ma sarebbe solo un segnale politico senza effetti reali). I sondaggi indicano comunque una spaccatura in Catalogna tra favorevoli e contrari all’indipendenza.
Un’altra zona sismica e centrifuga in Europa sono i Paesi Baschi che nel 2008 hanno cercato di indire un referendum – consultivo non vincolante – sulla indipendenza, tentativo respinto al mittente dalla Corte costituzionale di Madrid perché mancante del disco verde del governo centrale. I supremi giudici in quell’occasione fecero notare che nel caso di consultazioni popolari che mettono in discussione l’integrità territoriale dello Stato il diritto di voto andrebbe esteso a tutto il corpo elettorale della nazione. Giudizi di buon senso validi per frenare fughe in avanti e gli eccessi da febbre separatista.