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 2014  aprile 09 Mercoledì calendario

LA VENDETTA DI LETTA: RENZI SENZA SOLDI


L’ha detto a mezza bocca il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, i giornali l’hanno riportato e nessuno ha smentito, nemmeno il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. «Enrico Letta ci ha lasciato i conti in disordine», è sfuggito al nuovo inquilino di palazzo Chigi. E in effetti è proprio quello il problema che emerge dagli uffici del commissariato per gli affari economici dell’Unione europea guidato dal vicepresidente della Commissione, Olli Rehn. Si capisce bene anche dalle 68 pagine di documento dedicato agli squilibri strutturali dell’Italia sfornato dagli studiosi della Commissione nell’ultima settimana e sintetizzato dallo stesso Rehn fra mille polemiche in Italia. Il testo è stato redatto sulla base degli ultimi appunti lasciati a Bruxelles dall’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, e porta la firma fra l’altro di alcuni economisti italiani che collaborano con la direzione generale degli affari economici e finanziari della Commissione Ue. Al di là dei giudizi spesso caustici sulla tenuta strutturale dell’economia italiana, sono le cifre a spiegare la stizza di Renzi. Due in particolare, entrambe relative al 2014. La previsione di deficit nominale dell’Italia è del 2,6% del Pil. Questo significa che non sono molte risorse possibili da utilizzare per restare al di sotto del tetto del 3% ed evitare una nuova procedura per deficit eccessivo che sarebbe drammatica alle porte dell’entrata in vigore del trattato sul fiscal compact (primo luglio 2015). Sostanzialmente per le mille idee choc sull’economia che Renzi ha ampiamente preannunciato ci sono a disposizione per restare in quella soglia al massimo 6 miliardi di euro. Ma non possono essere utilizzati per qualsiasi cosa: la condizione dell’Unione europea e i vincoli di bilancio che ci sono impediscono ad esempio di utilizzare quella somma per la riduzione del cuneo fiscale, perché sarebbe misura strutturale. Il loro impiego tecnicamente può essere solo “one shot”, cioè per finanziare misure temporanee e non ripetibili. L’anno scorso quel margine fu utilizzato in gran parte per pagare i crediti in conto capitale vantati dalle imprese con la pubblica amministrazione (incidono infatti sul deficit corrente). Ma è un’altra cifra ad allarmare: quella sul deficit strutturale dell’Italia, che risulta in questo momento circa il doppio delle previsioni. Il deficit strutturale è la cifra di riferimento per il fiscal compact e per quel pareggio di bilancio che l’Italia ha inserito nella sua Costituzione e che quindi è già in vigore: attraverso una formula matematica si arriva al deficit depurato dalle condizioni non ripetibili e dal ciclo economico. Il governo uscente aveva ipotizzato quel dato allo 0,3% del Pil, quindi ben al sicuro dentro la forchetta consentita dal nuovo trattato Ue sui bilanci. Secondo le stime della Commissione, che però sono tratte dalla documentazione lasciata da Saccomanni prima di andarsene, il deficit strutturale sarebbe allo 0,6% del Pil italiano. Un dato che impedirebbe qualsiasi nuova spesa al governo italiano, che dovrebbe semmai fare una manovra sui conti pubblici per rientrare frettolosamente nei parametri consentiti. Quello sforamento è infatti perfino più grave di quello del deficit nominale, e cioè del tetto del 3%. Perché se consuntivato porterebbe di fatto al commissariamento della politica economica italiana, ed aleggerebbe su Roma un trattamento non dissimile da quello riservato ad Atene negli anni scorsi. Il vero choc per Renzi sarebbe quindi l’arrivo di una trojka che lo metta del tutto fuori gioco sulle decisioni che avrebbe voluto prendere.