Michele Brambilla, la Stampa 9/4/2014, 9 aprile 2014
STAR INTERNAZIONALE MACELLAI DA NOVE GENERAZIONI “VOI NELLE STELLE, NOI NELLE STALLE”
Diceva Pasolini: «Il giorno in cui questo nostro Paese avrà perso i contadini e gli artigiani non avrà più storia». Iddio ci conservi, allora, le famiglie come i Falorni, macellai in Greve in Chianti dal 1729. Alla guida adesso c’è l’ottava generazione, i fratelli Stefano e Lorenzo Bencistà Falorni: ma i loro cinque figli sono già la nona in azione. Ormai sono diventati una grande azienda: 55 dipendenti nella macelleria tra negozio e laboratorio, 53 alla produzione di macchine enomatiche (le trovi nei ristoranti e nelle navi da crociera: infili una tessera prepagata e ti servi un assaggio, o un bicchiere di vino), sei all’enoteca.
Ma la parola d’ordine è: produrre cibo e vini come quando si era solo una bottega di paese. «Non ci sentirà mai dire che noi facciamo prodotti di qualità: per noi, quella che gli altri chiamano qualità è la normalità. Facciamo le cose che facevamo trenta o quaranta anni fa», dice Stefano Bencistà Falorni, 67 anni, un personaggio che pare Benigni.
La macelleria Falorni è nella magnifica piazza di Greve, a pochi metri dalla statua di Giovanni da Verrazzano, concittadino illustre. Lui in America ci andò: adesso gli americani vengono qui a comprare, mangiare e bere da Falorni. «Il mi’ babbo diceva che dovevamo attirare i turisti, ma per lui i turisti erano quelli di Firenze e di Siena», racconta Stefano. Ora in negozio con americani e inglesi si fanno in media 500 scontrini al giorno, 700 in estate.
Sting, per dire, ha un’azienda agricola qui vicino, a Figline, e fa l’allevatore proprio per Falorni: gli tiene un po’ di maiali. Altri allevamenti sono sparsi in giro, con una particolarità: le bestie non vivono in un metro quadrato dentro una stalla, ma all’aperto, nei boschi: «Credo che un maiale che vive all’aperto sia più sano e produca salumi migliori», dice Falorni.
Per provare c’è solo l’imbarazzo della scelta: prosciutti, salame grevigiano, salame con Chianti classico, salame nobile, salame montanaro, finocchiona («L’abbiamo inventata nell’Ottocento noi Falorni. La prova che l’abbiamo inventato noi? La mia parola!»), salame di toro («Afrodisiaco: è molto più efficace del Viagra»), salamino con tartufo bianco, e poi ancora montanaro, piccante con peperoncino, di cinta, di cinghiale, soppressata... E ovviamente, la bistecca: quella che noi forestieri chiamiamo «la fiorentina» e che spesso non sappiamo cucinare: «Questa - dice ancora Stefano Bencistà Falorni - nasce come bottega della bistecca».
Gira per i colli del Chianti con una strepitosa Fiat 1100 E del 1950, da lui comprata nel 1964 e modificata per farne un furgone. È la sua felicità: girare per vitelloni e maiali: «I giorni più belli della mia vita sono stati due. Il primo quando ho comprato la casa al mare. Il secondo quando l’ho venduta», racconta. Non ci andava mai. I suoi figli e nipoti girano il mondo per vendere i loro cibi e le loro macchine per mescere il vino, ma lui guai a fargli prendere un aereo: «Ai miei figlioli dico sempre: voi nelle stelle, io nelle stalle». A sei-sette anni andava già in macelleria a lavorare: «I salami li portavamo in casa, sopra la bottega, a stagionare. Io sono nato con l’odore del salame». A 11 anni la mattina, invece di andare a scuola, andava a macellare e il preside, che era suo zio, copriva le assenze.
È cresciuto con un mito: la nonna Beppa, enciclopedia vivente di detti popolari: «Cattolicissima. Quando ha visto che non andavo più a messa, per punizione non mi faceva più i piatti speciali della domenica: l’arrosto di maiale cotto nel latte e lo sformato di carciofi nell’unto di quello stesso maiale. Mi ricattava: “A voler che l’amicizia si mantenga / un panierino vada, ma uno venga”, diceva. Il panierino è un cesto dove si mettono i doni. Il panierino che dovevo portare io, in cambio del pranzo della domenica, era appunto la messa. “Per ogni gaudenzia / ci vuole sofferenza”». La nonna Beppa morì a 87 anni, cadendo in macelleria mentre faceva la soppressata.
È amico di Matteo Renzi, che è di Rignano, pochi chilometri da qui. Sono molti i politici che vengono da lui per fare i regali di Natale. «Rutelli arrivava con tre macchine della scorta. Berlusconi invece manda sempre Bonaiuti: con lui si va nei ristoranti qui intorno, gli garba mangiare il pollo. È simpaticissimo, non come appare in tv. Sa a memoria la Divina Commedia e la recita in continuazione, purtroppo anche quando siamo a tavola».
Le sue gioie sono tutte legate a questo lavoro. A casa di Roberto Cavalli ha servito la bistecca a Batistuta e a Zucchero. A Torino, fine anni Novanta, al salone del gusto, fu presentato a Gianni Agnelli e a Massimo D’Alema che era presidente del Consiglio. Tre mesi fa ha aperto un negozio a Firenze. Due mesi fa ha avuto l’ardire di sfidare gli spagnoli a Salamanca: pata negra contro prosciutto toscano, alla fine i padroni di casa hanno rinunciato alla competizione e la sfida si è trasformata in una degustazione collettiva. È uno di quegli uomini che non conosceranno mai la parola ritiro: «Ho lavorato venti ore al giorno per dieci anni: mi alzavo alle tre per macellare. Poi sedici-diciassette ore per trent’anni. Adesso che sono pensionato, lavoro dodici ore al giorno». Ha trasformato la storica macelleria Falorni in una grande azienda che esporta in tutto il mondo, «ma non mi sono mai comprato un Rolex, piuttosto compro una vecchia affettatrice, ne ho una collezione».
Vi capitasse di passare per Greve, passate anche a visitare il museo che Falorni ha aperto in paese: c’è tutta la storia dell’agricoltura e dell’allevamento degli ultimi secoli. Storia di gente che, se ha imparato a non buttare via niente del maiale, è perché non ha conosciuto i nostri agi e le nostre sciagurate mani buche. Gente generosa, ma anche parsimoniosa: «Come diceva la mi’ nonna Beppa: porta aperta per chi porta; chi non porta, parta, la porta è aperta».
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