Massimiliano Castellani, Avvenire 9/3/2014, 9 marzo 2014
ANTOGNONI, IL 10 E LODE DI FIRENZE
Interno Casa Azzurri, Coverciano. Un elegante signore, dirigente delle nazionali giovanili, bandiera della Fiorentina e n. “10” dell’Italia campione del Mondo dell’82, si ferma davanti a un poster e mormora: «Lo guardo ogni giorno e non mi rassegno: perché non ci sono anch’io in quella formazione?». Sono gli undici di Enzo Bearzot che l’11 luglio 1982 al Bernabeu disputarono e vinsero la finale contro la Germania. Antognoni non c’è, perché si era infortunato nella semifinale contro la Polonia: collo del piede frantumato contro lo scarpino di Matysik.
Un dolore fortissimo, ma mai quanto quello di dover guardare la finale del Mundial dalla tribuna.
«È l’unico vero rimpianto della mia carriera. Sono diventato campione del mondo, ma il non essere sceso in campo quella sera e non comparire nella foto, è come se mi avessero rubato metà del sogno. Al resto ci hanno pensato i ladri: sono entrati in casa e hanno portato via tutte le medaglie d’oro delle partite che avevo disputato ad Argentina ’78 e a Spagna ’82».
Siamo partiti dai ricordi agrodolci, ricominciamo invece dagli inizi.
«Nasco in Umbria, in una casa di campagna nel comune di Marsciano che è anche il paese di Walter Sabatini, il ds della Roma. I miei genitori si trasferiscono a Perugia e prendono in gestione un bar che era pure un “Milan Club”. La prima partita allo stadio fu un Bologna-Milan: vinse il Milan e segnò Sani, ma io avevo occhi solo per il n. “10” Gianni Rivera che adesso lavora con me qui a Coverciano (responsabile tecnico della Figc, ndr)».
Anche la sua “favola” comincia a Coverciano.
«A 15 anni, ero l’unico Nazionale Juniores che giocava in serie D, nell’Astimacobi, una squadra satellite del Torino, ma non ho mai indossato la maglia granata. Il presidente della Fiorentina, Ugolini, solo per la metà del cartellino mi pare che pagò 350 milioni di lire e io mi ritrovai felicemente in viola».
Era il 1972: l’inizio di una delle più lunghe e appassionanti storie d’amore tra un calciatore e una città. Intanto squilla il telefono...
«Pronto Rita... Era mia moglie. La mia prima fidanzata è stata Firenze, poi nel ’77 è arrivata lei che mi ha regalato i nostri due figli: Alessandro (33 anni) e Rubina (25). Siamo nonni? No, però siamo entrati nell’età giusta, il 1° aprile compio 60 anni...».
Auguri, a quel ragazzo di ieri che nel ’77 era già titolare da cinque stagioni nella Fiorentina e da tre anni in regia in Nazionale.
«In viola mi fece esordire Liedholm, a Verona. Giocai al posto di Picchio De Sisti che poi è diventato il mio allenatore alla Fiorentina, ottimo e sempre poco ricordato. In Nazionale ci pensò Bearzot, splendida persona prima che grande ct. Mi ha permesso di realizzare un piccolo record sono il n. 10 azzurro con più presenze, 73».
Un 10 che alla sua prima apparizione venne salutato da Sandro Ciotti alla radio: “Oggi ho visto esordire un campione”. Gianni Brera scrisse: “Il ragazzo che gioca guardando le stelle” e il regista Zeffirelli lo voleva attore in un suo film.
«Ciotti carissimo. Brera, invece, poi di critiche non me ne ha risparmiata una, quando si perdeva era sempre un po’ colpa di Antognoni. A Zeffirelli piacevo perché ero il “leader” della sua squadra del cuore, ma non ho mai capito che parte volesse farmi recitare...».
Quindici anni in viola all’inseguimento dello scudetto perduto.
«Eravamo arrivati ad un passo, proprio nell’82. Sarebbe stato più giusto fare lo spareggio con la Juventus che vinse per un solo punto, con quel gol di Brady su rigore a Catanzaro. Sudditanza psicologica degli arbitri verso la Juve? In quel caso no, il rigore c’era, certo poi visto quello che è accaduto con Calciopoli qualche dubbio ti viene...».
Qualche dubbio lei ce l’ha avuto anche su Silvano Martina: nello scontro con il portiere del Genoa per poco non ci lasciò la pelle...
«Non mi ricordo niente di quella domenica (22 novembre dell’81). Dopo quella botta alla tempia mi sono risvegliato all’ospedale con Rita che mi teneva la mano. Ho rivisto i filmati e ancora oggi penso che Martina si “allargò” con quel ginocchio... Mi ha chiesto scusa, fa il procuratore di Buffon e quando viene a salutare lui a Coverciano, saluta anche me. È acqua passata sotto l’Arno».
È passato anche il “gelo” con i fratelli Della Valle?
«Quello no e non per colpa mia. Sei anni fa, ho chiesto un appuntamento per un semplice confronto... Sto ancora aspettando che mi rispondano. Da due anni comunque non vado più al Franchi».
Non ci dirà che “l’Antonio”, l’eterno idolo della Curva Fiesole, non è più innamorato della Fiorentina?
«Io amo e sono riamato dalla “mia” Fiorentina, quella in cui ho giocato. Sento l’amore dei tifosi e non smetterò mai di ringraziare questo popolo che mi ha fatto sentire importante anche dopo che ho smesso».
È per questa ragione che ha sempre risposto di “no” alla Juventus?
«Cabrini, Tardelli e Scirea con cui ero cresciuto in Nazionale tutte le volte a dirmi: “Che stai a fare a Firenze? Non vincerai mai niente, vieni alla Juve dai...”. L’Avvocato dopo il Mundial dell’82 ci provò in ogni maniera a convincermi. Agnelli mi ha salutato a fine carriera dicendomi: “Peccato Antognoni, lei è uno dei pochi che ha rifiutato di venire da noi”. Ho fatto la scelta giusta, non ho dubbi».
Qualche dubbio invece sulle “morti misteriose” della Fiorentina anni ’70 ce l’ha?
«Ho giocato con Beatrice e Galdiolo, uno è morto a 39 anni di leucemia, l’altro ha la Sla, il morbo che ha colpito altri calciatori passati alla Fiorentina (Segato e Borgonovo). La salute di una persona viene prima dei soldi e del successo che il calcio può dare, quindi sarebbe il caso che si facesse chiarezza, e chi allora ha sbagliato è giusto che paghi».
Lei una volta ha detto: “Devi sempre avere uno sguardo per chi sta peggio e cercare di fare qualcosa”.
«Da tempo sto molto vicino alla Casa d’accoglienza dedicata al piccolo Tommasino Bacciotti. Ma un grande campione fiorentino come Gino Bartali prima di me ha detto: “Fai del bene e non dirlo”. L’ho preso in parola».
Montella sta facendo del bene alla Fiorentina che oggi avvia il “trittico” delle sfide con la Juventus.
«Con Montella stiamo vedendo un gran bel calcio. Se non si fossero fatti male Giuseppe Rossi e Mario Gomez si poteva tentare qualcosa di più. Per lo scudetto la Fiorentina non è ancora attrezzata, ma per buttare fuori la Juve dall’Europa League magari sì...».
Che regalo vorrebbe ricevere per i suoi 60 anni?
«Mi piacerebbe crescere ancora di ruolo in questa Nazionale. Andare in Brasile assieme ai ragazzi di Prandelli e vederli vincere la finale dei Mondiali sarebbe un regalo che cancellerebbe il rimpianto di quella foto in cui non ci sono...».