Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 09 Domenica calendario

ANTOGNONI, IL 10 E LODE DI FIRENZE

Interno Casa Azzurri, Coverciano. Un e­legante signore, dirigente delle nazio­nali giovanili, bandiera della Fiorentina e n. “10” dell’Italia campione del Mon­do dell’82, si ferma davanti a un poster e mormora: «Lo guardo ogni giorno e non mi rassegno: perché non ci sono anch’io in quella formazione?». Sono gli undi­ci di Enzo Bearzot che l’11 luglio 1982 al Ber­nabeu disputarono e vinsero la finale contro la Germania. Antognoni non c’è, perché si era infortunato nella semifinale contro la Polonia: collo del piede frantumato contro lo scarpino di Matysik.
Un dolore fortissimo, ma mai quanto quello di dover guardare la finale del Mundial dalla tribuna.
«È l’unico vero rimpianto della mia carriera. So­no diventato campione del mondo, ma il non essere sceso in campo quella sera e non com­parire nella foto, è come se mi avessero rubato metà del sogno. Al resto ci hanno pensato i la­dri: sono entrati in casa e hanno portato via tut­te le medaglie d’oro delle partite che avevo di­sputato ad Argentina ’78 e a Spagna ’82».
Siamo partiti dai ricordi agrodolci, rico­minciamo invece dagli inizi.
«Nasco in Umbria, in una casa di cam­pagna nel comune di Marsciano che è anche il paese di Walter Sa­batini, il ds della Roma. I miei genitori si trasferiscono a Pe­rugia e prendono in gestio­ne un bar che era pure un “Milan Club”. La prima partita allo stadio fu un Bologna-Milan: vinse il Milan e segnò Sani, ma io avevo occhi solo per il n. “10” Gianni Rivera che adesso lavora con me qui a Coverciano (responsabile tecnico della Figc, ndr)».
Anche la sua “favola” co­mincia a Coverciano.
«A 15 anni, ero l’unico Nazio­nale Juniores che giocava in serie D, nell’Astimacobi, una squadra satellite del Torino, ma non ho mai indossato la maglia granata. Il presidente della Fiorenti­na, Ugolini, solo per la metà del cartellino mi pare che pagò 350 milioni di lire e io mi ritro­vai felicemente in viola».
Era il 1972: l’inizio di una delle più lunghe e appassionanti storie d’amore tra un calcia­tore e una città. Intanto squilla il telefono...
«Pronto Rita... Era mia moglie. La mia prima fi­danzata è stata Firenze, poi nel ’77 è arrivata lei che mi ha regalato i nostri due figli: Ales­sandro (33 anni) e Rubina (25). Siamo nonni? No, però siamo entrati nell’età giusta, il 1° aprile compio 60 anni...».
Auguri, a quel ragazzo di ieri che nel ’77 era già titolare da cinque stagioni nella Fiorenti­na e da tre anni in regia in Nazionale.
«In viola mi fece esordire Liedholm, a Verona. Giocai al posto di Picchio De Sisti che poi è di­ventato il mio allenatore alla Fiorentina, otti­mo e sempre poco ricordato. In Nazionale ci pensò Bearzot, splendida persona prima che grande ct. Mi ha permesso di realizzare un pic­colo record sono il n. 10 azzurro con più pre­senze, 73».
Un 10 che alla sua prima apparizione ven­ne salutato da Sandro Ciotti alla radio: “Oggi ho visto esordire un campione”. Gianni Bre­ra scrisse: “Il ragazzo che gioca guardando le stelle” e il regista Zeffirelli lo voleva attore in un suo film.
«Ciotti carissimo. Brera, invece, poi di critiche non me ne ha risparmiata una, quando si per­deva era sempre un po’ colpa di Antognoni. A Zeffirelli piacevo perché ero il “leader” della sua squadra del cuore, ma non ho mai capito che parte volesse farmi recitare...».
Quindici anni in viola all’inseguimento del­lo scudetto perduto.
«Eravamo arrivati ad un passo, proprio nell’82. Sarebbe stato più giusto fare lo spareggio con la Juventus che vinse per un solo punto, con quel gol di Brady su rigore a Catanzaro. Suddi­tanza psicologica degli arbitri verso la Juve? In quel caso no, il rigore c’era, certo poi visto quello che è accaduto con Calciopoli qual­che dubbio ti viene...».
Qualche dubbio lei ce l’ha avuto anche su Silvano Martina: nello scontro con il portiere del Genoa per poco non ci lasciò la pelle...
«Non mi ricordo niente di quella domenica (22 novembre dell’81). Do­po quella botta alla tempia mi sono risve­gliato all’ospedale con Rita che mi teneva la mano. Ho rivisto i filma­ti e ancora oggi penso che Martina si “allargò” con quel ginocchio... Mi ha chiesto scusa, fa il procuratore di Buffon e quando vie­ne a salutare lui a Coverciano, saluta anche me. È acqua passata sotto l’Arno».
È passato anche il “gelo” con i fratelli Del­la Valle?
«Quello no e non per colpa mia. Sei anni fa, ho chiesto un appuntamento per un semplice confronto... Sto ancora aspettando che mi ri­spondano. Da due anni comunque non vado più al Franchi».
Non ci dirà che “l’Antonio”, l’eterno idolo del­la Curva Fiesole, non è più innamorato della Fiorentina?
«Io amo e sono riamato dalla “mia” Fiorenti­na, quella in cui ho giocato. Sento l’amore dei tifosi e non smetterò mai di ringraziare questo popolo che mi ha fatto sentire importante an­che dopo che ho smesso».
È per questa ragione che ha sempre risposto di “no” alla Juventus?
«Cabrini, Tardelli e Scirea con cui ero cresciu­to in Nazionale tutte le volte a dirmi: “Che stai a fare a Firenze? Non vincerai mai niente, vie­ni alla Juve dai...”. L’Avvocato dopo il Mundial dell’82 ci provò in ogni maniera a convincer­mi. Agnelli mi ha salutato a fine carriera di­cendomi: “Peccato Antognoni, lei è uno dei po­chi che ha rifiutato di venire da noi”. Ho fatto la scelta giusta, non ho dubbi».
Qualche dubbio invece sulle “morti miste­riose” della Fiorentina anni ’70 ce l’ha?
«Ho giocato con Beatrice e Galdiolo, uno è mor­to a 39 anni di leucemia, l’altro ha la Sla, il mor­bo che ha colpito altri calciatori passati alla Fiorentina (Segato e Borgonovo). La salute di una persona viene prima dei soldi e del suc­cesso che il calcio può dare, quindi sarebbe il caso che si facesse chiarezza, e chi allora ha sbagliato è giusto che paghi».
Lei una volta ha detto: “Devi sempre avere u­no sguardo per chi sta peggio e cercare di fa­re qualcosa”.
«Da tempo sto molto vicino alla Casa d’acco­glienza dedicata al piccolo Tommasino Bac­ciotti. Ma un grande campione fiorentino co­me Gino Bartali prima di me ha detto: “Fai del bene e non dirlo”. L’ho preso in parola».
Montella sta facendo del bene alla Fiorenti­na che oggi avvia il “trittico” delle sfide con la Juventus.
«Con Montella stiamo vedendo un gran bel calcio. Se non si fossero fatti male Giuseppe Rossi e Mario Gomez si poteva tentare qualcosa di più. Per lo scudetto la Fiorentina non è an­cora attrezzata, ma per buttare fuori la Juve dall’Europa League magari sì...».
Che regalo vorrebbe ricevere per i suoi 60 anni?
«Mi piacerebbe crescere ancora di ruolo in que­sta Nazionale. Andare in Brasile assieme ai ra­gazzi di Prandelli e vederli vincere la finale dei Mondiali sarebbe un regalo che cancellerebbe il rimpianto di quella foto in cui non ci sono...».