Mario Deaglio, la Stampa 9/4/2014, 9 aprile 2014
MEGLIO CONCENTRARSI SU CHI ASSUME
Governare non è mai facile. Soprattutto non lo è quando si abbandona il livello delle «chiacchiere da bar», o, se si preferisce, dei «talk show» televisivi e ci si addentra nei tecnicismi delle leggi e delle procedure e nelle complessità del Paese; quando si lasciano alle spalle gli schemi miracolistici che prevedono un spesa oggi, la copertura soltanto domani e allargano nel frattempo il debito pubblico; quando i soldi da spendere sono in gran parte ancora sulla carta e dipendono dal benestare di un’entità sovrannazionale, come l’Unione Europea, che li condiziona all’avvio di riforme aventi lo scopo di ridurre o cancellare prerogative e privilegi antichi e recenti.
A rendere le cose più complicate, sul piatto magro da offrire agli italiani (che è già di per sé un discreto risultato, sicuramente migliore del catastrofismo di maniera fortemente diffuso nel Paese fino a pochissimo tempo fa) si affannano numerosi pretendenti. Usate le risorse per tagliare l’Irpef sui redditi più bassi e mettete 80-100 euro in più al mese nelle buste paga di chi ha maggior bisogno, così ripartiranno i consumi si chiede da parte delle organizzazioni dei lavoratori.
Usate le risorse per tagliare l’Irap, hanno chiesto con insistenza gli imprenditori, così potremo assumere e ripartirà l’occupazione.
«Capitale» e «lavoro» si affrontano nell’ennesima puntata di un duello tradizionale, che dura da molti decenni, forse senza rendersi conto che il mondo è cambiato e che a vincere il duello può essere la burocrazia e a perdere può essere la possibilità del Paese di tornare a crescere. In una politica di contenimento della spesa pubblica, i «tagli lineari» nei bilanci degli enti locali non hanno fatto distinzione tra comuni buoni e comuni cattivi; allo stesso modo, i «tagli lineari» dell’Irpef e/o dell’Irap, attorno ai quali si discute intensamente, potrebbero risultare poco efficaci ai fini del consolidamento dei segnali, tuttora deboli ma ormai piuttosto diffusi, di ripresa.
Da un punto di vista sociale, si dovrebbe dare priorità alle nuove generazioni, per le quali esiste «Garanzia Giovani», un programma da un miliardo e mezzo di euro, concordato a livello europeo e finanziato per oltre i due terzi dall’Unione Europea, che doveva cominciare all’inizio dell’anno ma sta invece slittando, guarda caso per contrasti di tipo amministrativo-burocratico tra lo Stato e le Regioni, rischiando così di trasformarsi nell’ennesimo esempio di risorse europee non spese per incapacità. Occorrerebbe poi pensare a programmi per l’occupazione femminile, mentre con le donne ieri, giorno della loro festa, si è stati larghi di mimose ma si è sempre a corto di risorse che ne migliorino l’occupabilità e l’occupazione.
Da un punto di vista economico, bisognerebbe ricordare che, su 100 euro al mese in più in busta paga derivanti da un possibile taglio dell’Irpef, probabilmente 30-40 andrebbero nell’acquisto dall’estero di materie prime o prodotti, a cominciare da quelli cinesi, molto presenti nella fascia bassa dei beni di consumo. Su 100 euro in più di investimenti delle imprese la quota estera sarebbe quasi certamente minore, anche perché la componente edilizia utilizza in buona parte materie prime locali. Se l’obiettivo è quello della ripresa, bisognerebbe inoltre concentrare queste risorse sulle imprese che effettivamente assumono o investono e non procedere a sgravi a pioggia che risultano sempre poco efficaci.
In ogni caso, ai fini del sostegno al rilancio produttivo sono preferibili risorse effettivamente e rapidamente spese – anche se relativamente poco efficienti - a risorse delle quali viene deliberata la destinazione ma che poi ristagnano nei meandri della burocrazia. Per questo motivo, il programma di finanziamento di nuovi lavori pubblici, anche di piccola entità e a livello di comuni (i cosiddetti «seimila campanili») deve fare realisticamente i conti con i ritardi che si verificano quando si deve procedere a un appalto (e ci si trova sempre più frequentemente di fronte al ricorso di chi nell’appalto risulta perdente). Vanno bene solo se accompagnati da procedure che consentano una spesa efficace in tempi rapidi.
In una parola, l’importante è immettere nell’economia le risorse «libere» delle quali si dispone, assicurando un’efficacia ragionevole, senza mirare a un’eccellenza sulla carta che sia destinata a restare, appunto, sulla carta. Un governo entusiasta e con progetti interessanti, perfino galvanizzanti, ma dai contorni incerti, si scontra con una realtà fatta di complicazioni e di cavilli, di fronte ai quali non c’è «bacchetta magica» che tenga e anche il carisma personale del presidente del Consiglio serve a poco.
Per questo sarebbe opportuno non puntare tutte le carte sul Consiglio dei Ministri di mercoledì, ma considerarlo come una tappa, sicuramente importante, ma altrettanto sicuramente non decisiva, su un lungo e faticoso sentiero che si può percorrere assecondando e potenziando gli spunti di ripresa. Roma, dice un proverbio inglese, non fu costruita in un giorno. La ripresa dell’economia di un Paese non può essere messa a punto in un solo mercoledì.
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