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 2014  aprile 08 Martedì calendario

“FACCIO IMPAZZIRE I FAN TRA HORROR E ROMANTICISMO”


ROMA Torna alla musica, Federico Zampaglione, dopo un lungo ritiro occupato dal cinema horror, e fa rinascere la fortunata sigla dei Tiromancino: «Sì, è vero, tanto per rimanere in tema horror, mi sento un po’ come Jekyll e Hide, nel senso che sono mondi decisamente diversi. S’era creata un situazione assurda. I fan dei Tiromancino non capivano che c’entrassero i film horror e li odiavano; quelli che amavano i film horror, si incuriosivano e scoprivano che ero un cantautore di matrice romantica, gli sembrava assurdo, mi scrivevano: sei uno squilibrato, non fare dischi, fai solo film».
Però alla fine il bisogno di musica è tornato. Il disco s’intitola Indagine su un sentimento, al di sopra di ogni sospetto, verrebbe da aggiungere, ed è un ritorno forte. Com’è potuto succedere?
«L’ho scritto in dieci giorni, di getto, come un momento di riflessione. I sentimenti ogni tanto li devi tirare un fuori, riguardarli, capire a che punto sei. È stata come un’oasi di pace, non avevo neanche un contratto, ma in effetti l’abbiamo immaginato come un film, indagare un sentimento, da varie angolature, in fin dei conti un disco concept».
Ma perché tanto tempo lontano dalla musica?
«Semplicemente avevo perso lo stimolo, un disco dietro l’altro, un tour dietro l’altro, s’era tutto troppo meccanizzato, con tempistiche precise che spesso non coincidevano con quelle espressive. Allora ho rotto tutto e mi sono buttato nel cinema horror, un’avventura incredibile, soprattutto all’estero. Mai avrei creduto di poter arrivare a quel livello, ma soprattutto all’estero è diventata una follia, il primo film è stato venduto in 70 paesi, arrivavo nei festival in giro per il mondo con la gente che faceva la fila, quindi mi sono trovato a passare dall’essere percepito come un cantautore da atmosfere romantiche, morbide, ipnotiche, a un pazzo sanguinario. Come l’uomo che visse due volte, o meglio come Sordi in Troppo forte di Verdone, un giorno avvocato e il giorno dopo coreografo».
Le sono capitate cose bizzarre?
«Diciamo di tutto. A un festival in Spagna, c’era il mio ultimo film, Tulpa, con omicidi davvero sadici, e una signora si è sentita male e l’hanno portata via con l’ambulanza. Certo, è stato rischiosissimo, perché quando fai musica sembra che non puoi mollare un attimo».
E invece il filo si può riprendere. Nel disco c’è un pezzo che ricorda molto lo stile di Califano, possibile?
«A sentirlo mi vengono i brividi, perché è successo proprio così. È come se me l’avesse mandata lui. Era morto da poco e mi mancava la sua energia, mi mancava come amico, sapere che il Califfo non fosse più in giro mi faceva soffrire. Avevo comprato una sua antologia, e la ascoltavo in continuazione. Un giorno ero davanti al lago di Bracciano, con la chitarra e a un certo punto mi
è arrivata la canzone, di getto, intera, testo e musica».
C’è anche qualcosa di familiare in questo ritorno dei Tiromancino?
«Molto. È ritornato mio fratello Francesco come produttore, chitarrista, con la sua alchimia sonora che aveva caratterizzato i vecchi Tiromancino, e tra l’altro questo è successo mentre mia madre stava morendo. Questo ci ha fatto avvicinare ancora di più, con la voglia di realizzare qualcosa di bello, da dedicarle. Lei era felice che lavorassimo insieme, era molto protettiva».
Vista la velocità dei cambiamenti, non ha trovato diverso il mondo della musica?
«Sì, e per certi versi migliore. Quando mi ero ritirato era il momento del grande pianto, l’atteggiamento era quello del grossista di cavalli dopo che avevano inventato l’automobile, ora mi pare che tutto il mondo della musica consideri la rete un mezzo fondamentale. C’è un rapporto più diretto col pubblico, senza filtri, mi sembra di essere entrato in un mondo nuovo. Ma soprattutto sento l’energia di un ragazzino, cosa che negli ultimi anni mi era passata, come in una relazione in cui non ti senti più felice, poi è tornato l’innamoramento, mi sono rimesso a fare musica come quando ho cominciato, per il piacere di farlo, prima di ogni altra cosa».
Visti i tempi dell’uscita, ci poteva stare una sua partecipazione a Sanremo. O no?
«Ho scelto di non provarci. Per me è un’entità che non controlli, e poi alla fine mi sembra brutto considerare le canzoni come un fatto agonistico. È come andare dal dentista e farsi togliere tre molari: se si può evitare è meglio. Alla fine mi sono sentito felice di non esserci. Ho preferito guardarlo con una pinta di birra e “rutto libero”, alla Fantozzi».