Diego Gabutti, ItaliaOggi 8/4/2014, 8 aprile 2014
PERCHÉ, ANZICHÉ PERDERE TEMPO CON I FINTI MARLOW DEI FINTI CHANDLER NON ANDATE A LEGGERVI GLI ORIGINALI? CI SONO DUE MERIDIANI AL BACIO
Philip Marlowe, il detective di Raymond Chandler, è il Che Guevara del noir: un’icona intramontabile e un punto di vista rivoluzionario sull’ordine imperfetto del mondo. Marlowe, naturalmente, non ha la stravagante pretesa d’insegnare al mondo la disciplina socialista, a differenza del barbudo argentino. Ma neanche lui stravede per i ricchi. Marlowe è un po’ come Corto Maltese, il bel marinaio del grande Hugo Pratt, che siede su una veranda con gli occhi socchiusi, fumando un sigarillo, le gambe allungate e intanto, come si legge nel fumetto, «recita per un pubblico invisibile». È un eroe stilizzato, straordinariamente cool, come si dice oggi. È un modello (un top model) di comportamento, anche più di settant’anni dopo la sua prima apparizione nel Grande sonno, romanzo bello (ma incomprensibile) dal quale fu tratto un film incomprensibile (ma bello) con Humphrey Bogart in una delle sue parti più celebrate e leggendarie.
Sembrerebbe facile imitarlo, com’è facile imitare Sherlock Holmes. Entrambi sono personaggi fortemente caratterizzati: Holmes i dialoghi pedanti e il berretto da cacciatore di daini, Marlowe gli scacchi e le battute amare. Ma Chandler non è uno scrittore da due soldi e i tentativi di dare un seguito alle storie di Marlowe, se s’esclude il classico Triste, solitario y final d’Osvaldo Soriano, Einaudi 2006, non sono mai riusciti: la voce narrante chandleriana, un po’ barocca, molto ricercata, anche leggermente pomposa, è impossibile da imitare — si rischia a ogni frase la parodia. La bionda con gli occhi neri. Un’indagine di Philip Marlowe (Guanda 2014, pp. 288, 17,50 euro, ebook 9,99 euro) di Jonathan Black, pseudonimo d’un principe del poliziesco moderno, l’irlandese John Banville, è una mezza eccezione.
Ha i difetti delle fotocopie, si capisce: la definizione, qua e là, appare sfocata, e talvolta le metafore similchandleriane sono insensate. Per esempio questa: «Il sole non dava tregua. Presi il fazzoletto e me lo passai sulla nuca. Da queste parti, d’estate, ci sono giorni in cui il sole ti fa l’effetto di un gorilla che sbuccia una banana». Un gorilla (il sole?) che sbuccia una banana? È divertente. Ma che vuol dire? Perchè la banana? Da dove esce? Di che cosa o di chi è metafora la banana? Di Marlowe? E il gorilla sarà davvero il sole?
Ma la prosa chandleriana, in generale, è ricalcata con grande abilità, come nei pastiches proustiani, quando l’autore della Recherche imitava la prosa di Balzac e di Sainte-Beuve con humour e destrezza. Dove il romanzo di Black-Banville perde quota è in certe incongrue sgrammaticature della trama. Una donna, per esempio, viene sequestrata da due teppisti, che certamente la violenteranno e la uccideranno, ma Marlowe si limita a chiamare la polizia, poi fa lo svenevole con la sua cliente e ci va a letto. Non è preoccupato, come lo sarebbe una persona reale, figurarsi un eroe come lui, ma passa subito ad altro, non al sesso ma agli sviluppi della trama, come un detective da fumetto.
Mai il vero Marlowe, in una storia di Chandler, avrebbe preso un tale svarione psicologico. Sono fuori luogo, infine, anche i continui rimandi, sempre un po’ imbarazzanti, ai personaggi delle storie originali; il finale, poi, dal punto di vista del canone chandleriano, è tragico. Ma il romanzo, alla fine, si legge se non altro senza fatica. A tutti consiglio, però, di prendersi un weekend per rileggere, dopo lo pseudo-Marlowe di Banville, i due Meridiani che Mondadori ha dedicato a Raymond Chandler (Romanzi e racconti 1933-1959, 2 voll., pp. CLXXX-3314, 120,00 euro).