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 2014  aprile 08 Martedì calendario

SUDTIROL IN GUERRA


Il 20 settembre 1956, a Settequerce, alle porte di Bolzano, saltò un traliccio. Gli autori erano militanti di gruppi terroristici che miravano al distacco dell’Alto Adige dall’Italia e alla sua unione con l’Austria. Era il primo di una lunghissima serie di attentati: ben 315 tra il 1956 e il 1967, cui ne seguirono altri 46 tra il 1986 e il 1988. Complessivamente vi furono 21 vittime, compresi quattro terroristi dilaniati dalle cariche che stavano piazzando, e 57 feriti, di cui 23 appartenenti alle forze dell’ordine e 34 civili. Una guerra dimenticata e, appunto perché dimenticata e mai studiata approfonditamente, in grado di spargere nuove tossine quarant’anni dopo.
Lo spunto viene dall’agile libretto Sudtirol. Storia di una guerra rimossa (1956-1967) di Mauro Marcantoni e Giorgio Postal (Donzelli, pp. 112, euro 17,50), che ricostruisce nei tratti essenziali la vicenda, ma che non la approfondisce dal punto di vista della documentazione storica, né risolve i molti punti oscuri. Una storia ancora da scrivere, quindi; e il merito degli autori è soprattutto quello di avere sollevato una spessa coltre di indifferenza sul problema, anche se la tesi di fondo è un po’ quella per cui gli italiani, dopo quello che aveva fatto il fascismo da quelle parti, un po’ se la sono, se non meritata, almeno cercata.
Dopo la Prima guerra mondiale l’Italia, acquisite le province di Trento e di Bolzano, iniziò un processo di assimilazione nazionale dell’Alto Adige, accentuato durante il fascismo dall’arrivo di molti funzionari e impiegati provenienti dal resto della Penisola.
Dopo la Seconda guerra mondiale, De Gasperi e il cancelliere austriaco Gruber (nel 1946) conclusero un accordo che sancì definitivamente l’italianità dell’Alto Adige, con una serie di clausole atte a garantire alla popolazione di lingua tedesca la propria identità.
Nel pieno delle trattative per attuare gli accordi, iniziarono gli attentati, evidentemente per bloccare sul nascere ogni soluzione che non prevedesse il passaggio di Bolzano all’Austria. In più, dal 1957, il vecchio gruppo dirigente della Sudtiroler Volkspartei (Svp), cattolico-popolare e moderato, fu sostituito da elementi più radicali, con forti venature neonaziste. Il terrorismo ebbe per molto tempo l’avallo dell’Austria e della Germania, che divennero il rifugio degli attentatori.
Negli anni ’60 gli attentati aumentarono di intensità: solo nella “notte dei fuochi”, tra l’11 e il 12 giugno 1961, si registrarono 37 attentati. Gli obiettivi erano i simboli dello Stato italiano, i carabinieri, la Finanza, le stazioni, i convogli ferroviari, gli uffici postali, anche lontani dalla provincia di Bolzano. Nell’estate 1963 gli attentati si susseguirono a cadenze settimanali. Si seppe poi che il ministro degli Esteri austriaco, Kreisky, aveva avuto frequenti contatti con esponenti del terrorismo altoatesino, come emerse pochi anni dopo dal testamento di Luis Amplatz, capo dei «partigiani sudtirolesi».
Nel 1969 si arrivò, dopo lunghe ed estenuanti trattative segnate dal terrorismo, al “Pacchetto”, il secondo Statuto di Autonomia, attuato nel 1972. Le trattative, avrebbe poi detto Magnago, capo storico della Svp, erano state «positivamente » condizionate dagli attentati. Si incominciò con Sesto Pusteria (maggio 1965), due carabinieri uccisi; si proseguì con Passo Vizze (maggio 1966), un finanziere ucciso; poi fu la volta di San Martino di Casies (luglio 1966), due finanzieri uccisi e uno ferito gravemente; il 12 agosto una mina scoppiò sotto un treno ferendo due ferrovieri; il 3 e il 20 agosto i carabinieri sventarono due attentati al Palazzo di Giustizia di Bolzano e sulla linea ferroviaria presso il Brennero che avrebbero potuto provocare due stragi; il 9 settembre 1966 tre finanzieri vennero uccisi per l’esplosione della caserma della Guardia di Finanza di Malga Sasso, nei pressi del Brennero; il 31 maggio 1967 tre persone furono ferite nell’esplosione di un bar di Brunico; il 25 giugno 1967 fu la volta della strage di Cima Vallona, quattro morti, tra carabinieri e alpini, una trappola fatta per uccidere un consistente numero di militari; infine, il 30 settembre successivo, due poliziotti morirono nel tentativo, riuscito, di allontanare dai binari della stazione di Trento, affollata di gente, una valigia piena di esplosivo rinvenuto sull’Alpen Express: sarebbe stata una strage.
Dopo il 1972 sembrò che si fosse trovata la soluzione di un problema irrisolvibile. Invece, a vedere la situazione oggi, esiste un malessere italiano che dipende in buona misura dall’assurda applicazione dello Statuto di autonomia. Il quale limita le possibilità degli italiani di trovare lavoro, di avere una casa, di mandare a scuola in figli in una scuola italiana; la loro identità culturale è compromessa da un monolinguismo tedesco che si sta sostituendo progressivamente al vecchio bilinguismo e dall’attacco sistematico ai loro simboli, alla loro storia e alla loro identità. Questa è un’altra storia, ma si innesta nella guerra degli anni Sessanta, contro lo Stato italiano. Gli italiani oggi sono minoranza non tutelata e discriminata in una provincia della Repubblica italiana...