Franco Bechis, Libero 8/4/2014, 8 aprile 2014
«INDAGATI A CASA» LO DICEVA VENDOLA ORA TOCCA A LUI
Chissà perché l’ha detto. Forse per darsi un tono. O per fare impressione sul pm che lo stava interrogando come indagato. A pochi sarebbe venuto in mente di dire a un magistrato a capo di una maxi inchiesta per disastro ambientale “Mi manda Terminator”. Eppure è quel che ha detto Nichi Vendola alla fine delle 155 pagine di interrogatorio del 23 dicembre scorso: «Sono stato ricevuto dal senatore Kerry a Washington o da Schwarzenegger come leader di una posizione ambientalista... E poi vengo rappresentato come uno che ride dei tumori... Insomma, capisce bene che per me non è una grana giudiziaria, è essere spellato vivo, è essere mutilato della cosa più importante che ho accumulato nella mia vita, che è la reputazione». Ecco, farsi mandare da Terminator non è stata la raccomandazione giusta almeno con il pubblico ministero Piero Argentino, che aveva messo sotto inchiesta Vendola per il pesante reato di concussione aggravata. Il risultato è stato infatti quello della richiesta di rinvio a giudizio per il presidente della Regione Puglia insieme ad altri alti esponenti di Sel, ad amministratori locali, a funzionari pubblici, a dirigenti privati e ai vertici dell’Ilva: in tutto la pubblica accusa chiede di mandare a processo 53 persone. La concussione aggravata di cui è accusato Vendola riguarda un episodio specifico (molti altri imputati invece si sono visti addebitare il disastro ambientale), di fronte a cui a dire il vero non pare utile lo scudo di un Kerry o di uno Schwarzenegger (il rapporto con Terminator semmai sarebbe un aggravante). Secondo il pm infatti Vendola avrebbe fatto pressioni sul direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato (indagato anche lui per avere tentato di coprire le responsabilità di Vendola con una versione falsa dei fatti) per fare ammorbidire la relazione 2010 sulle emissioni inquinanti del polo siderurgico dell’Ilva. Il leader di Sel ha provato a giustificarsi quasi facendo l’occhiolino al procuratore, che non ha gradito affatto. «Quando ho ricevuto l’avviso di garanzia», ha detto con aria da angioletto, «ho sussurrato al colonnello che avrei preferito avere una diagnosi di tumore (frase carina nei confronti di chi ha perso padre madre o figlia proprio di tumore, ndr). Lei - tempo fa - procuratore, mi ha detto una frase che non dimenticherò mai...». Il pm Argentino interrompe Vendola seccato: «Non me la ricordo...». Ma il leader politico caro a Terminator prosegue indomito: «Mi ha detto: noi non siamo mica matti, sappiamo che ci sono 20 mila posti di lavoro, 20 mila famiglie...». A leggere quelle pagine sembrava l’interrogatorio di Tafazzi. A ogni riga l’imputato con la sua difesa si procurava un nuovo guaio. Non particolarmente elegante nemmeno il riferimento alla celebre telefonata con grande risata al responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva, Girolamo Archinà: «Ho avuto la sensazione di averlo offeso, perché ridevo di lui, del suo scatto felino, scatto da servitor zelante, questo era il motivo esclusivo della risata...». Ecco se non l’aveva offeso all’epoca, di sicuro è accaduto nell’interrogatorio dove con garbo ha bollato il comunicatore come «servitore zelante».
Gran guaio per il presidente della Regione Puglia, che naturalmente continua a professarsi innocente. Perché a questo punto la posizione giudiziaria fa un salto in avanti: prima solo inquisito, oggi i ragionevoli dubbi dell’accusa ritengono sia necessario mandare a processo Vendola. Il leader di Sel si trova quindi in una posizione più grave dal punto di vista giudiziario e politico di quella del sottosegretario Gentile (non indagato), contro cui i vendoliani avevano sparato a pallettoni, e ben più grave anche sotto il profilo dei reati ipotizzati rispetto ai quattro sottosegretari che Vendola definì «da brivido» e di cui a gran voce le opposizioni chiedono le dimissioni. È il metro di giudizio Nichi che se applicato in coscienza davanti a uno specchio avrebbe da tempo dovuto portare a dimissioni volontarie dalla carica di presidente della Regione Puglia.Difficile credere a un politico che ha tuonato contro Angelino Alfano («le sue dimissioni un caso di igiene istituzionale»), contro Anna Maria Cancellieri («avrebbe fatto bene a dimettersi»), e perfino contro Josefa Idem («farebbe bene a rassegnare le dimissioni, perché così si fa»), e poi quando tocca a lui per accuse ben più gravi e giudiziariamente già avanzate, si inchiavarda alla poltrona con lucchetto a doppia mandata. Come molti parolai, sotto la nuvola di dichiarazioni che grondano indignazione, Vendola poi è assai più pratico di quel che non si pensi. Una brutta figura? Passa. Perdere la faccia? Si ricompone, passa il tempo e la gente dimentica. Ma la seggiola del potere no, quella non si lasciamai. Basta che ti alzi un momento distratto e te la sfilano in un batter d’occhio...