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 2014  aprile 08 Martedì calendario

“GAS, PER ORA NIENTE RISCHI MA L’UE CAMBI STRATEGIA”


I l sole primaverile che scalda il centro di Milano non conforta solo i passanti. «Per quest’anno, anche grazie alle temperature molto miti in tutta Europa, mi sento di escludere che la crisi dell’Ucraina abbia effetti sulle forniture di gas - dice l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni - ma certo, se la tensione durerà, ho qualche preoccupazione per il prossimo anno. Il sistema di approvvigionamento dell’Italia ci consente di superare con qualche costo aggiuntivo la crisi di uno dei nostri fornitori, ma se dovesse mancarne anche un altro i problemi sarebbero seri. E in ogni caso, proprio alla luce di questa crisi, l’Europa dovrebbe ripensare la sua strategia energetica».
La tensione tra Mosca e Kiev aumenta. Che cosa garantisce che Gazprom non decida di chiudere i rubinetti che portano all’Italia oltre un quarto del suo fabbisogno di gas e che passano per forza dall’Ucraina?
«Intanto per ora non c’è nessun problema, il gas russo continua ad arrivare regolarmente. Poi mi pare difficile che la Russia sospenda le esportazioni attraverso l’Ucraina, a meno che non ci sia uno scenario di conflitto vero e proprio che allo stato delle cose escluderei. Gli ucraini incassano tre miliardi di dollari l’anno per far passare il gas russo sul loro territorio; per loro è una cifra significativa. E in quanto ai russi, essere affidabili nelle consegne ai clienti occidentali è una necessità assoluta. Vedrò Miller, il numero uno di Gazprom, proprio martedì prossimo e di sicuro si parlerà anche di questo».
Con Gazprom state rinegoziando i contratti per il gas, ma adesso Usa e Ue si avviano sulla strada delle sanzioni. Sarà un problema per voi?
«L’Europa si sta muovendo con una maggiore cautela rispetto agli Usa. E Italia e Germania, che hanno i maggiori rapporti economici, e non solo energetici, con Mosca sono in Europa tra i Paesi più prudenti. Noi dell’Eni abbiamo relazioni forti con i russi da sessant’anni, che considero un patrimonio da conservare, ci tengo a mantenere i migliori rapporti possibili con Gazprom».
La vulgata che circola è che proprio con lei alla guida l’Eni, all’ombra del rapporto privilegiato tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, abbia di fatto aumentato la nostra dipendenza energetica dalla Russia...
«Sono chiacchiere da bar, che non hanno nulla di vero. Basti dire che nel 2000 la Russia pesava per il 37% delle nostre forniture di gas, mentre nel 2012 la quota era scesa al 28%. E poi Prodi ha rapporti con la Russia buoni almeno come quelli di Berlusconi. E lo stesso è vero per Monti o per la Cancelliera tedesca Merkel. Non si tratta certo di amicizie personali, ma di uomini di Stato che fanno giustamente la politica del loro Paese. E i rapporti tra Italia e Russia sono forti e buoni, lo ripeto, da sessant’anni almeno, da quando era ancora l’Unione Sovietica ed eravamo in piena Guerra Fredda».
Se per ipotesi l’Ucraina non fosse più un canale per il gas russo, che cosa accadrebbe?
«Potremmo sopperire se riuscissimo a mantenere le produzioni libiche al livello attuale, se non ci fossero problemi in Algeria, che oggi pesa per circa un terzo del nostro import di gas, e se riuscissimo ad aumentare le importazioni in Italia del gas russo che arriva in Europa tramite il gasdotto NorthStream. Questo ovviamente avrebbe un costo supplementare».
Tra i rischi maggiori c’è quello di un’instabilità della Libia...
«È una delle nostre preoccupazioni. Ho appena incontrato a Roma il primo ministro libico Ali Zidan e devo dire che con quel Paese abbiamo una grande consuetudine ed ottimi rapporti, che fanno sì che le milizie proteggano, invece di attaccare, i nostri impianti. Confido nel fatto che tutti in Libia capiscano che se non si proteggono le imprese petrolifere, con i ricavi che garantiscono, sarebbe un grosso problema anche per loro».
Lei propone una differente politica europea per l’energia. Perché?
«Quando si parla di energia ci sono tre aspetti da valutare: il costo, l’impatto sull’ambiente e la certezza dell’approvvigionamento. È facile vedere che un’Europa - parlo di Bruxelles, ma anche degli Stati membri - che paga il gas tre volte quel che costa agli Usa, che non riesce a ridurre le emissioni di Co2 e che ha le difficoltà a cui assistiamo in questi giorni, ha lavorato male».
E dunque che cosa dovrebbero fare Stati e Commissione, secondo lei?
«Bruxelles dovrebbe riuscire a fare una sintesi tra i diversi aspetti della questione energetica, le diverse competenze dei commissari, creando una figura che prenda in carico tutto il tema dell’energia. Ma prima di tutto l’Europa dovrebbe prendere atto che un continente dove l’energia costa il triplo che negli Usa ha un futuro difficile e dunque bisogna intervenire urgentemente».
Gli Usa però contano sul boom dello shale gas, il gas di scisto, che ha fatto precipitare i prezzi.
«Non so se in Europa si possa replicare l’esperienza americana. Quel che è certo è che in questa situazione non bisogna lasciare nulla di intentato».
Nucleare e shale gas compresi?
«Ma certo. Di centrali nucleari ce ne sono 450 in tutto il mondo. E per quel che riguarda lo shale gas c’è un dato che mi colpisce molto: grazie al ribasso dei prezzi negli Usa ogni famiglia ha in tasca 1300 dollari disponibili in più ogni anno. Si rende conto di quel che potrebbe significare un vantaggio simile in Europa e in Italia? Più che il calo del cuneo fiscale».
In aprile scade il suo terzo mandato alla guida dell’Eni. Molti si aspettano dal premier Matteo Renzi un rinnovamento che passi anche attraverso il ricambio dei vertici delle società a controllo pubblico...
«Mi lasci dire che questo feticcio della scadenza per me è incomprensibile. In tutto il mondo i manager non si ricordano nemmeno quando scadono: sono sempre in scadenza, se viene a mancare la fiducia dei loro azionisti, e mai in scadenza se questa continua. E in tutto il mondo la scelta dei manager per le società quotate, specie quando hanno centinaia di migliaia di azionisti, non si fa guardando al primo, al secondo o al quarto mandato di chi lo svolge ma si decide in base a quello che si ritiene essere l’interesse di tutti gli azionisti. In ogni caso un eventuale cambio al vertice di una società non è un happening che si svolge in una manciata di ore, ma un processo ordinato, in cui il successore è individuato e reso pubblico con largo anticipo».
L’interesse degli azionisti si fa anche con i risultati economici. E i suoi critici, fanno notare come nel 2013 l’utile netto sia sceso del 40% rispetto al 2005 – anno del suo arrivo - mentre il prezzo del petrolio nello stesso periodo è praticamente raddoppiato. Certo, in mezzo c’è stata la crisi, però...
«Tanto per essere precisi, se nel maggio 2005 quando io sono diventato amministratore delegato dell’Eni, lei avesse messo i suoi risparmi in azioni Eni e ogni anno avesse reinvestito i dividendi nel titolo, a fine 2013 avrebbe visto quella somma aumentata del 51%. Se avesse fatto lo stesso sull’indice della Borsa italiana avrebbe perso l’11%, se avesse investito su un paniere di società petrolifere europee avrebbe guadagnato il 42%. Questi sono i fatti: abbiamo fatto guadagnare ai nostri azionisti più dei concorrenti europei. Il resto non mi interessa».