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 2014  aprile 08 Martedì calendario

FONDI UE, NUOVI COMPITI A CASA PER RENZI


Ancora compiti a casa per il governo presieduto da Matteo Renzi. La Commissione europea è pronta a sollevare 351 rilievi sulla strategia dell’Italia per migliorare la sua capacità di recepire i fondi strutturali europei.

Del documento, destinato a partire ufficialmente a inizio settimana, nei palazzi romani c’è già piena contezza.
La squadra del responsabile per le politiche regionali, l’austriaco Johannes Hahn, si appresta a smontare l’Accordo di partenariato che l’ex ministro per la Coesione, Carlo Trigilia, ha inviato a Bruxelles il 9 dicembre. Il giudizio è durissimo: «Il documento è ancora lontano dal livello di maturità richiesta». Per buona parte dovrà essere riscritto.

L’Accordo era inteso dall’esecutivo Letta come chiave di svolta per il rapporto fra il Bel Paese e i finanziamenti comunitari, una lunga vicenda di ritardi, errori e truffe. In gennaio è stato annunciato con enfasi il superamento del 50% degli impegni per la dotazione del periodo 2007-2013, circostanza relativamente virtuosa che ora ci costringe a spendere un pari ammontare di soldi in due anni, pena la perdita delle erogazioni. Il pacchetto per il 2014-2020 prevede 31,7 miliardi (Fondo sviluppo regionale e Fondo sociale) ai quali si aggiungerà il co-finanziamento nostrano (43% della spesa). Fa poco meno di 60 miliardi in 7 anni per sostenere investimenti e imprese. Un’occasione da non perdere.
L’importanza di questi soldi salta agli occhi. Trigilia e i suoi volevano riscrivere la storia e hanno lavorato sodo sulle linee guida per la programmazione del prossimo settennato, sulla cui base saranno elaborati i programmi nazionali (Pon) e regionali (Por). Fra le principali novità previste, il lancio di un’Agenzia per il monitoraggio della spesa e il sostegno alla pubblica amministrazione; l’avvio di programmi nazionali nel Centro-Nord; lo spostamento del baricentro operativo dalle grandi opere all’innovazione tecnologica a sostegno di piccole e medie imprese.
Tutto questo sulla carta. Alla prova dei fatti, Bruxelles ritiene che ci sia parecchio da fare, e lo dice in 46 pagine che La Stampa ha visto, partendo dal fatto che la presenza di lacune informative e strutturali rilevanti «non consente una valutazione completa» del testo. Gli 11 obiettivi tematici (Ot) delineati dal governo sono «presentati in maniera generale e con deboli riferimenti» alle raccomandazioni specifiche dell’Ue e all’esperienza del recente passato. La logica dell’azione è definita «debole nella maggior parte dei casi». Occorrerà «chiarire le scelte operate in funzione del grado massimo di valore aggiunto». Fare chiarezza e sfruttare il potenziale, insomma.
La Commissione aggiunge che «la debole logica di intervento ha anche un impatto sulla scelta dei risultati attesi», molti dei quali sono difficili da misurare. Risulta inoltre «impossibile individuare nel documento una chiara strategia di sviluppo». Mentre «manca completamente l’analisi della capacità amministrativa nell’ambito dell’Ot 11», che poi è quello con cui si vuole rafforzare i margini strategici del settore pubblico. La scelta di favorire misure di assistenza e sostegno a settori in difficoltà è solo in parte giustificata. Si deve pensare anche a migliorare le infrastrutture: aiutare chi va bene.
Fioccano i giudizi di incoerenza sui singoli obiettivi. Si evince la carenza di dati e osservazioni a sostegno dei progetti da finanziare. Persino la nuova Agenzia di controllo non passa l’esame. Come funziona? Come sarà coordinata? Come sarà governata?, sono tre delle domande che emergono fra i rilievi tecnici, la cui sintesi è «riprendete l’Accordo e rendetelo adulto». Un compito arduo. Soprattutto per un dipartimento alla testa del quale, adesso, non c’è più un ministro a tutto tondo.