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 2014  marzo 09 Domenica calendario

A volte ci basta un’occhiata, e a qualcuno anche meno. Ci basta un’occhiata per comprendere che qualcuno sta fingendo o sta dicendo un bugia

A volte ci basta un’occhiata, e a qualcuno anche meno. Ci basta un’occhiata per comprendere che qualcuno sta fingendo o sta dicendo un bugia. Direi che ce ne accorgiamo subito o non ce ne accorgiamo proprio. Purtroppo qualcuno appartiene alla categoria di quelli che non si accorgono e si fanno invariabilmente ingannare; sono alcuni autistici o persone che hanno qualche problema alla amigdala, la sede cerebrale della memoria emotiva. Per il resto siamo abbastanza attrezzati contro la simulazione e l’inganno. Ci mettiamo un terzo di secondo, cioè 300 millesimi di secondo, ad accorgerci che qualcuno finge, quando ce ne accorgiamo. Questa osservazione è stata fatta all’Università di Milano Bicocca, in collaborazione con il Cnr e gli atenei di Parma e San Diego in California. Ad alcuni volontari sono state fatte osservare immagini di persone che mostravano un’espressione consona con lo stato d’animo denunciato e persone che fingevano. Lo stato d’animo veniva ovviamente espresso in parole in una dichiarazione a parte. Il cervello dei volontari era contemporaneamente «osservato» con una risonanza magnetica a bassa risoluzione per cogliere «sul fatto» l’attività di questa o quella regione cerebrale. Nel caso di simulazione la corteccia orbito-frontale del volontario, e precisamente nella sua regione ventromediale, si attiva appunto in 300 millisecondi e «svela» l’inganno. Ci sono da dire due cose. La prima è che il «ritardo» di 300 millisecondi non è affatto un ritardo, perché questo è esattamente l’intervallo di tempo che ogni percezione richiede per giungere alla coscienza. Da ciò ne segue che la presa di coscienza è richiesta per svelare l’inganno e che, se c’è, il riconoscimento è immediato. Non sappiamo che cosa accade in quei 300 millisecondi, ma certo deve trattarsi di un periodo di frenetica consultazione delle diverse parti del cervello da parte della corteccia cerebrale. In questo caso «l’autorità» consultata contiene almeno le regioni dell’amigdala che ci fornisce il ricordo vivente di esperienze precedenti e dell’effetto che ci hanno fatto. In un attimo consultiamo il «notaio» che tiene i registri delle nostre esperienze emotive, praticamente da quando siamo nati, ma ovviamente con la prevalenza delle esperienze più recenti. Sappiamo che in animali di laboratorio l’amigdala si può ingannare: sottoposti a nuovi condizionamenti o, meglio, ricondizionamenti, positivi o negativi, le cellule delle varie parti dell’amigdala si possono ingannare, facendo «imparare» informazioni sbagliate al soggetto dell’esperimento. Nell’uomo l’esperimento non avrebbe senso, ma l’osservazione in oggetto potrebbe spiegare perché ci facciamo più facilmente ingannare da persone che conosciamo da tempo e delle quali ci fidiamo. «Oh che lieve è ingannar chi s’assecura!» dice il Petrarca. Esistono poi persone che tendiamo a definire «venditori di tappeti», anche se nulla hanno a che fare con tale attività, che hanno un dono naturale nel solleticare la nostra amigdala in modo da farsi più spesso prendere sul serio. E chi ha orecchi per intendere, intenda. In secondo luogo, la corteccia orbito-frontale è una vecchia conoscenza che sovrintende a molte delle nostre decisioni, segnalandoci in particolare se sono completamente soddisfacenti o in parte sospette. Insomma tende a essere il decisore ultimo o, meglio, il mentore del decisore stesso. Moltissime cose le abbiamo decise in maniera appropriata grazie alla sorveglianza di questa parte della corteccia anteriore, ma quante cretinate abbiamo fatto grazie anche al suo avallo! Insomma, gli imbroglioni esisteranno sempre, come esisteranno sempre i «gonzi», ma ora conosciamo un po’ di più i meccanismi sottostanti. D’altra parte come sarebbe la vita senza simulazione?