Giusi Fasano, Corriere della Sera 9/3/2014, 9 marzo 2014
La notizia buona è che, in generale, gli omicidi nel nostro Paese diminuiscono, e non di poco. Quella cattiva è che i numeri in discesa non riguardano le donne
La notizia buona è che, in generale, gli omicidi nel nostro Paese diminuiscono, e non di poco. Quella cattiva è che i numeri in discesa non riguardano le donne. Lo dice il ministro dell’Interno Angelino Alfano e lo fa dalla sede romana del Telefono Rosa, in un giorno affollato di ricorrenze ed eventi: è la festa della donna, siamo a cento giorni dalla legge sul femminicidio ed è una data da segnare con il nero sul calendario, perché da Gualdo Tadino (Umbria) e da Vigevano (Pavia) arrivano notizie di altre due donne ammazzate dai loro ex. Dice il ministro Alfano: «Segnaliamo un calo degli omicidi che non ha precedenti nella nostra storia. Ma non diminuiscono quelli che hanno per vittime le donne, e questo è un elemento di preoccupazione». Il confronto che consente quest’affermazione riguarda i mesi di gennaio e febbraio. L’anno scorso, in quel periodo, nel nostro Paese furono uccise 85 persone che, quest’anno, sono diventate 68. Tra i morti dei primi due mesi del 2013 avevamo contato 25 donne mentre nello stesso periodo di quest’anno se ne contano 15. Quindi in calo. Ma solo apparentemente, secondo i dati di Alfano. Che completa le cifre con i primi otto giorni di marzo parlando di «una ripresa, purtroppo»: «In una sola settimana sono stati commessi altri cinque femminicidi, l’ultimo a Vigevano» dice. E sbaglia per difetto perché c’è anche il delitto di ieri di Gualdo Tadino. Quindi le donne uccise nei primi otto giorni di marzo sono sei. Un’enormità. «Anche se non siamo al di sopra della media precedente il dato resta preoccupante» insiste il responsabile del Viminale, che promette di farne una questione europea: «Mi impegno a portare la lotta alla violenza di genere come tema prioritario del semestre di presidenza europeo». Il Viminale illustra anche i dati che riguardano reati di genere diversi dal femminicidio. Sull’insieme dei reati commessi in Italia nel 2013, il 41,35% erano ai danni di vittime donne. Un dato, questo, che sembra rimanere costante negli anni: nel confronto con il 2008, per esempio, si scopre che le vittime di sesso femminile erano il 39,63%. La percentuale di donne è altissima nel caso del reato di maltrattamenti in famiglia: su 11.045 procedimenti penali registrati del 2013 le vittime donne sono l’81,63%. Al ministero degli Interni risultano uccise 177 donne nel 2013, dato decisamente superiore a quello conosciuto dalle associazioni femminili e dalla cronaca: 128. E poi c’è il reato di atti persecutori — lo stalking —: su 10.708 casi avvenuti nel 2013, il 77,72% delle volte le vittime perseguitate erano donne. E il ministro Alfano presenta per la prima volta il numero ufficiale delle donne che hanno potuto fronteggiare i loro stalker grazie a quella legge: «Dal 2009 ad oggi si sono registrate ben quarantamila denunce per atti persecutori». Come succede da sempre, la violenza di genere avviene la maggior parte delle volte all’interno della famiglia o della coppia. E lo studio presentato proprio ieri da Telefono Rosa lo conferma: in 58 casi su 100 le violenze e i maltrattamenti sono compiuti all’interno di una relazione affettiva mentre in 24 casi su 100 avvengono dopo la separazione. Fra le tante cifre che ieri hanno misurato la violenza di genere colpisce quella sull’età media delle donne vittime, che (sempre secondo Telefono Rosa) è salita a 54 anni nel 28% dei casi. Aumentata anche l’età degli autori delle violenze che nel 17% hanno tra i 55 e i 65 anni e per il 10% oltre i 65 anni. E fra tutti un dato positivo: si riduce da 18 a 14 la percentuale delle donne che hanno paura di subire ancora: un segnale di consapevolezza e coraggio. Dice la presidente della Camera Laura Boldrini: «La violenza non è un fatto privato, ma pubblico perché lede i diritti umani delle donne». E aggiunge un altro dato a quelli della giornata: «Il settanta per cento delle donne non denuncia. Questa violenza ha una valenza pubblica e costa allo Stato per assistenza medica, psicologica, e perché la donna non può produrre. Ci vuole più impegno su questo». Giusi Fasano