Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 9/3/2014, 9 marzo 2014
L’ arcivescovo di Buenos Aires siede in seconda fila sul lato sinistro della Sistina e ha gli occhi fissi davanti a sé, verso i cardinali ai banchi di fronte e più in alto gli affreschi quattrocenteschi con le storie di Cristo, le «Tentazioni» di Botticelli, il Ghirlandaio e la «Vocazione dei primi apostoli», la «Consegna delle chiavi a Pietro» del Perugino, ma è come se il suo sguardo andasse oltre o piuttosto fosse rivolto all’interno, l’aria assorta, «tranquillo e raccolto» lo descrivono, al suo fianco il grande amico francescano Cláudio Hummes gli ha posato un istante la mano sull’avambraccio, un gesto di conforto, quasi ci siamo, non c’è bisogno di dire nulla
L’ arcivescovo di Buenos Aires siede in seconda fila sul lato sinistro della Sistina e ha gli occhi fissi davanti a sé, verso i cardinali ai banchi di fronte e più in alto gli affreschi quattrocenteschi con le storie di Cristo, le «Tentazioni» di Botticelli, il Ghirlandaio e la «Vocazione dei primi apostoli», la «Consegna delle chiavi a Pietro» del Perugino, ma è come se il suo sguardo andasse oltre o piuttosto fosse rivolto all’interno, l’aria assorta, «tranquillo e raccolto» lo descrivono, al suo fianco il grande amico francescano Cláudio Hummes gli ha posato un istante la mano sull’avambraccio, un gesto di conforto, quasi ci siamo, non c’è bisogno di dire nulla. «Bergoglio... Bergoglio...Bergoglio...». Mercoledì, 13 marzo 2013, secondo giorno del conclave. Alcuni confratelli hanno tenuto a mente un’ora che non sarà segnata da nessuna parte, il momento dell’elezione: sono le 18.50 quando il cardinale argentino supera il quorum di 77 voti e gli applausi dei porporati al nuovo Papa sovrastano la voce del cardinale scrutatore. La lettura delle schede prosegue, i numeri sono segreti ma i consensi vanno ben oltre la soglia dei due terzi, alla fine Jorge Mario riceverà una novantina di voti su 115 elettori. Solo sedici minuti più tardi, alle 19.06, una fumata beffarda — dapprima una bava nerastra che vira al grigio chiaro e poi la sbuffata bianca, bianchissima — segnalerà al pianeta che la Chiesa cattolica è guidata dal 265° successore di Pietro. Per sapere chi è, ci vorrà ancora un’ora abbondante: l’annuncio del protodiacono Jean-Louis Tauran alle 20.12, Habemus Papam , e il nuovo pontefice che alle 20.24 si affaccia alla Loggia delle Benedizioni, «fratelli e sorelle, buonasera!». Ma in quell’istante sospeso, alle sette meno dieci, mentre il cardinale Hummes abbraccia e bacia il suo vecchio amico e gli mormora: «Non dimenticarti dei poveri!», piazza San Pietro è una distesa di ombrelli e bandiere e il mondo intero si diverte a fissare un gabbiano che zampetta sotto la pioggia accanto al comignolo della Cappella, l’unico e invidiatissimo essere vivente fuori dalla Sistina che potrebbe arrivare a cogliere qualcosa di ciò che sta accadendo là dentro. La sesta votazione Il primo scrutinio martedì pomeriggio e da mercoledì quattro al giorno, fra mattina e pomeriggio. Il ritmo del conclave è serrato ma subisce un piccolo intoppo. Un anno dopo, a sentire alcuni cardinali, si conferma ciò che la giornalista argentina Elisabetta Piqué ha scritto nel libro «Francesco, vita e rivoluzione», l’elezione è avvenuta in realtà alla sesta votazione perché la quinta, dopo il primo scrutinio pomeridiano che già aveva visto Bergoglio sfiorare il quorum, è stata annullata: le schede sono dei semplici fogli di 20 centimetri per 14, in alto è stampato Eligo in Summum Pontificem e sotto c’è una riga sulla quale scrivere il nome; nella conta prima dello spoglio ci si è accorti che ce n’era una in più, 116 anziché 115, a un cardinale è rimasto attaccato un secondo foglio bianco dietro a quello sul quale ha votato. Così, «per sicurezza» e «fare le cose per bene», si decide di ripetere il voto del quale ormai tutti immaginano l’esito. Ma ci vuole ancora un po’ di tempo. L’urna è posata sul tavolo degli scrutatori, ai piedi del Giudizio Universale. Testor Christum Dominum, qui me iudicaturus est, me eum eligere, quem secundum Deum iudico eligi debere . La frase viene ripetuta ad ogni votazione, centoquindici volte. I cardinali si avvicinano uno per uno, davanti a sé il Gesù di Michelangelo che separa in un gesto i dannati dai salvati: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». «Sono un peccatore» E ora la scelta è compiuta, nella Sistina ancora chiusa al mondo l’ultimo dei tre scrutatori ha finito di legare insieme le schede infilando ago e filo sulla parola eligo di ciascun foglio, i pacchetti delle tre votazioni pomeridiane saranno bruciati in una piccola stufa cilindrica in ghisa che si usa dall’elezione di Pio XII nel 1939 mentre la seconda stufa quadrangolare che debuttò nel 2005 è quella con i fumogeni bianchi o neri che dovrebbero rendere più chiaro il segnale all’esterno. Il Giovanni Battista Re si avvicina a Bergoglio e lo invita ad andare verso la parete del Giudizio. Rivolto ai cardinali, l’eletto dovrà rispondere alle due domande fondamentali poste in latino dal decano del Conclave. Re gli chiede se accetta l’elezione, anzitutto: Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem ?. E qui il gesuita argentino comincia a mostrare lo stile che presto il mondo imparerà a conoscere. Anche lui risponde in latino, ma va oltre l’accepto di prassi. Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Iesu Christi confidus et in spiritu penitentiae accepto . Il nuovo Papa accetta «in spirito di penitenza» riconoscendosi anzitutto come un peccatore che confida «nella misericordia e infinita pazienza di Nostro Signore Gesù Cristo». I frutti della spiritualità di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, la pazienza e la misericordia. All’inizio c’è già tutto. Del resto l’opera d’arte più amata da Bergoglio è la «Vocazione di Matteo» del Caravaggio, il suo motto episcopale Miserando atque eligendo è tratto da un commento di Beda il Venerabile a un passo dell’evangelista: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: seguimi». Francesco E non finisce qui. Quando il cardinale Re gli chiede come vorrà chiamarsi da Papa, Quo nomine vis vocari ?, Bergoglio sillaba tra lo stupore dei cardinali: Vocabor Franciscus . Francesco. Mai nessun pontefice aveva scelto il nome del santo di Assisi. «Non dimenticarti dei poveri», gli aveva detto il francescano Hummes. Quattro giorni più tardi sarà lo stesso Papa, portando l’indice al petto, a raccontare: «Quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri... Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi... Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Così è arrivato il momento di varcare la porticina a sinistra della parete di fondo, da lì un corridoio conduce alla cosiddetta «stanza delle lacrime», un piccolo ambiente austero dalle volte a crociera nel quale, accanto a una statua della Madonna con Bambino, sono state preparate tre vesti bianche di misure differenti e sette paia di calzature morbide. Il pontefice indossa la talare bianca e lo zucchetto ma declina la mozzetta bordata di pelliccia e la croce pettorale d’oro che gli porge il cerimoniere Guido Marini, si tiene quella di ferro che ha sempre portato da vescovo come le sue vecchie scarpe ortopediche nere. Di ritorno nella Sistina, Francesco dovrebbe sedersi sul trono di fronte all’altare per ricevere l’omaggio dei cardinali e invece è il Papa ad attraversare la Cappella per salutare ed abbracciare il cardinale indiano Ivan Dias, malato e in sedia a rotelle. Quindi torna indietro e non si siede né sale sulla pedana, ma resta semplicemente in piedi ad accogliere uno per uno i porporati, tra la lettura del Vangelo (Tu es Petrus ) e la preghiera con il canto del Te Deum . La telefonata Dalle 20 del 28 febbraio si è compiuta la «rinuncia» e Ratzinger si è ritirato con discrezione a Castel Gandolfo. Tredici giorni più tardi, come svariati milioni di persone nel mondo, Benedetto XVI ha visto in televisione la fumata bianca ed è in attesa di sapere chi gli succederà quando Francesco, uscito dalla Sistina, fa un cenno all’arcivescovo Georg Gänswein, che si trova lì come prefetto della Casa pontificia, e gli chiede di parlare con il predecessore. Intanto Bergoglio ha chiamato accanto a sé Hummes, «resta con me in questo momento», e il suo Vicario per Roma, Agostino Vallini; con loro è andato nella Cappella Paolina e i due cardinali sono rimasti un po’ indietro mentre il Pontefice si raccoglieva in preghiera sotto l’ultimo capolavoro affrescato dal vecchio Michelangelo, la «Crocifissione di Pietro». Dal Vaticano chiamano Castel Gandolfo ma non risponde nessuno, ormai è tempo che Francesco si mostri al mondo. Monsignor Alfred Xuereb, oggi segretario di Bergoglio, sorride: «Con Benedetto XVI siamo rimasti davanti alla tv e non abbiamo udito! Eravamo a cena quando alle 20.45 si è sentita la telefonata...». Il segretario risponde, gli passano il Papa e lui porge il cordless a Ratzinger. È lo stesso monsignore a ricordare le prime, straordinarie parole rivolte dal Papa emerito al successore, un unicum in duemila anni. Benedetto XVI lo ha visto invitare i fedeli a pregare «tutti insieme» per lui e dice a Francesco: «La ringrazio, Santo Padre, la ringrazio che abbia subito pensato a me, e le prometto da subito la mia obbedienza e la mia preghiera...». Dalla fine del mondo «Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui …». Per il mondo è una sorpresa, quel gesuita argentino che conquista subito i fedeli con parole e gesti ad un tempo semplici e raffinati: un Papa che si presenta anzitutto come vescovo della Chiesa di Roma «che presiede nella carità tutte le Chiese» — la citazione ecumenica è di Sant’Ignazio di Antiochia, un Padre della Chiesa indivisa dell’inizio del II secolo — e prima di benedire la piazza e augurare a tutti «buona notte e buon riposo» domanda, lui, ai fedeli una preghiera silenziosa a Dio, «la preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo», e china il capo. Ma nel Conclave le cose avevano cominciato a muoversi da martedì sera. Dopo la prima fumata nera, scontata, alle 19,41, si torna a Santa Marta per la Cena e Bergoglio è l’immagine della serenità, consuma un passato di verdure mentre conversa con il connazionale Leonardo Sandri, alle prese con una brutta influenza, e attinge agli studi superiori di chimica per consigliargli le dosi di antibiotici. Poi va subito a letto. All’esterno, nei media, il suo nome non viene considerato, per quanto autorevolissimo: era già candidato nel 2005 ma ora ha 76 anni, dopo la «rinuncia» di Ratzinger la convinzione generale è che il successore non supererà i 75, l’età della pensione per i vescovi. Ma i cardinali non ragionano così. E il suo intervento nelle Congregazioni prima del Conclave ha lasciato il segno, a posteriori suona come il programma del pontificato: la Chiesa chiamata a «uscire da se stessa» verso le «periferie geografiche ed esistenziali», il male della «mondanità spirituale», c’è già tutto. Dopo i veleni curiali tra gli elettori si avverte la necessità di cambiare aria, una spinta crescente a guardare «oltre l’Europa» e in particolare all’America Latina. I cardinali considerati favoriti alla vigilia, dall’italiano Angelo Scola a Odilo Pedro Scherer, brasiliano ma etichettato come candidato dei «curiali», si bloccano ben presto. Il quorum dei due terzi, che Ratzinger ha voluto restasse anche all’eventuale ballottaggio dopo undici giorni, esclude resistenze e blocchi contrapposti. Bergoglio invece ha superato subito la ventina di voti e cresce, al terzo scrutinio supera i cinquanta, mercoledì a pranzo la situazione è ormai chiara. Dopo l’elezione e la benedizione da San Pietro, la berlina targata SCV1 attende il pontefice accanto alla Basilica per portarlo a Santa Marta, ma lui sceglie di salire nel pulmino assieme agli altri cardinali, si cena tutti assieme, poi rientra nella sua stanza, la 207. Poche ore di sonno e già ci sarebbero i sarti pronti a prendere le misure, ma lui congeda tutti: «Prima si va dalla Madonna». L’alba del nuovo pontificato è l’uscita verso Santa Maria Maggiore e, al ritorno, una sosta alla reception della Casa del Clero di via della Scrofa, dove alloggiava in attesa del Conclave e aveva lasciato il biglietto di ritorno per Buenos Aires: prima di rientrare in Vaticano, Francesco paga il contro dell’albergo.