Monica Guerzoni, Corriere della Sera 9/3/2014, 9 marzo 2014
ROMA —«L’Italicum è il frutto di un compromesso tra Renzi e Berlusconi...». Roberto D’Alimonte nega di essere il «padre» della legge elettorale e sceglie di definirsi «zio»
ROMA —«L’Italicum è il frutto di un compromesso tra Renzi e Berlusconi...». Roberto D’Alimonte nega di essere il «padre» della legge elettorale e sceglie di definirsi «zio». Non che il politologo si sia pentito di aver dato una mano al premier, ma avrebbe preferito un sistema diverso: «Voglio chiarire il mio ruolo. Quando ho collaborato con Renzi, le decisioni fondamentali le hanno prese lui e Berlusconi. Sono loro i veri protagonisti, che fin dall’inizio si sono appoggiati a consigli di altri». Denis Verdini? «È il tecnico elettorale di Berlusconi e il rapporto tra loro è stato molto più stretto di quello, assai più frammentario, tra me e Renzi. Io sono un tecnico-tecnico, il senatore Verdini è un tecnico-politico, il che mi ha impedito di far valere il mio punto di vista sulle parti che non mi piacevano». La imbarazza aver contribuito a resuscitare politicamente l’ex premier? «Io non c’entro nulla, è una responsabilità politica di Renzi — si smarca il professore, “seccato per la sovraesposizione” —. Mi ha chiesto di dare dei pareri e io glieli ho dati. Gli sono servito nella fase più delicata, dopodiché lui adesso ha la Boschi. Renzi non mi cerca e io non lo cerco, sono tornato a fare il mio mestiere». A ottobre D’Alimonte suggerì a Renzi di andare a votare con il Porcellum e resta convinto che sarebbe stata la scelta giusta: «Avrebbe vinto lui. La storia del Paese è cambiata per la sentenza della Consulta, arrivata nel momento sbagliato e sulla quale io sono ultracritico». È vero che fu Napolitano ad affossare l’accordo sul sistema spagnolo? «No — chiarisce D’Alimonte —. Il capo dello Stato non mise alcun veto, si limitò a segnalare garbatamente la preoccupazione che quel sistema fosse troppo distorsivo, nel senso di favorire i grandi partiti e penalizzare i piccoli, quando invece la Consulta chiedeva equilibrio tra rappresentatività e governabilità». Chi fu allora ad affossare lo spagnolo? «Una coalizione di interessi formata dal governo Letta, dalla minoranza del Pd e dai piccoli partiti, a cominciare dall’Ncd di Alfano». Torniamo all’Italicum, professore: «Migliora la situazione, però è il frutto di un compromesso e quindi ha diversi limiti. Consente di conoscere chi ha vinto la sera stessa delle elezioni e il doppio turno è un primo passo importante, su cui Renzi è stato bravissimo a strappare il via libera. Però il premio di maggioranza è troppo basso. Il fatto che chi vince abbia 321 deputati è troppo poco». E la soglia per ottenere il premio? «Berlusconi non si muove dal 37%, perché gli dà la speranza di vincere al primo turno. Ma bisognerebbe portarla al 40». Se si andasse a votare con l’Italicum, Renzi rischierebbe di perdere? «Questo sistema va bene a Berlusconi, ma Renzi rischia solo se perde la sua scommessa di governo. L’unico sistema con cui non può vincere è il proporzionale della Consulta. Ecco perché l’obiettivo assoluto di Renzi, che non è un ingenuo, è modificare quel modello. Ha cercato di tirar fuori da Berlusconi il meglio, forse però si poteva fare qualcosina di più». Lei cos’altro cambierebbe? «Le soglie sono troppe e non mi piacciono gli sconti. Bastava una soglia unica al 4%, come nella legge Mattarella. Su questo punto mi sono battuto e ho perso e così sulle liste fasulle tipo Forza Milan o No Equitalia». E la parità di genere? È d’accordo? «No, il 50 e 50 è una soluzione estrema, che non c’è neppure in Svezia». Alla Camera la legge dovrebbe farcela, ma il problema è il Senato: «Il rischio che possa saltare c’è. I numeri sono più ballerini e i senatori non si accontenteranno di fare i notai della riforma approvata alla Camera, la vorranno modificare significativamente». Cosa pensa del dimezzamento dell’Italicum? «È un mezzo pasticcio, a cui Renzi è stato costretto pur di portare a casa la riforma. Se non si abolisce il Senato il pastrocchio sarà inenarrabile. La partita è ancora complicatissima». I tacchini non vogliono finire nel piatto a Natale... «Esatto, il problema è che tocca ai senatori dover dichiarare lo scioglimento di Palazzo Madama». Monica Guerzoni