Giuseppe De Rita, Corriere della Sera 9/3/2014, 9 marzo 2014
Sotto la costellazione della nuova legge elettorale e del nuovo governo, viviamo da settimane il trionfo del primato della politica
Sotto la costellazione della nuova legge elettorale e del nuovo governo, viviamo da settimane il trionfo del primato della politica. Ci sono tutti gli ingredienti di enfasi: sulla rapidità decisionale, sulla governabilità, sul bipolarismo, sulla personalizzazione delle leadership, sugli accordi di vertice, sulle convenienze di gruppo e personali, addirittura sulle trappole predisposte da tutti per tutti. E la dimensione mediatica aiuta e potenzia. Nel turbinio delle parole manca però attenzione alla non marginale questione se e come il primato della politica possa trasformarsi in potere reale, cioè in atti concreti. Senza tale passaggio la politica rischia di ballare sempre più su se stessa, con i suoi protagonisti condannati all’egoismo individuale e corporativo, in una logica tutta sovrastrutturale (per usare un vecchio termine). Disporre di una adeguata potenza decisionale ed operativa sta diventando per la politica un obiettivo altamente improbabile. E per tre motivi. Il primo è relativo al fatto che oggi è crollata l’identificazione fra potere della politica e potere dello Stato. Oggi assistiamo alla crisi irrevocabile della sovranità statuale e alla crescita consistente dei poteri formali e informali delle istituzioni europee, delle cancellerie internazionali, della grande finanza mondiale. Siamo un sistema sempre più eterodiretto, spesso in modo mortificante per chi lo governa. Altro che primato della politica... Il secondo motivo rinvia a quando, nei decenni precedenti, la politica esercitava il potere di nomina dei vertici delle imprese pubbliche, dando forza operativa alla filosofia dello Stato soggetto di iniziativa, anche imprenditoriale. Certamente nelle prossime settimane la sottile voluttà di nominare i presidenti delle aziende pubbliche tornerà a scorrere nelle vene della politica; ma subito dopo si tornerà ad una sostanziale impossibilità di indurli a perseguire obiettivi definiti da un sempre più ipotetico primato della politica. Ed in terzo luogo è difficile pensare che la classe politica possa conquistare potere reale attraverso l’antica strada della manovrabilità della azione amministrativa. Vale a questo proposito l’esperienza negativa degli ultimi governi, dove la volontà politica ha lanciato corposi e ambiziosi decreti legge che, rinviando ad una selva di complicati decreti attuativi, sono poi o rimasti sulla carta o finiti nel condizionamento e forse rafforzamento dei poteri burocratici. Se siamo un sistema eterodiretto dall’esterno; se siamo un sistema che non ha strumenti di iniziativa imprenditoriale; se siamo un sistema incastrato negli interessi della alta burocrazia; allora che senso concreto ha parlare di un primato della politica? È una domanda che farei volentieri a qualche politico che a tale primato ci ha creduto con determinazione e passione, tipo De Mita e D’Alema; ma è una domanda che va posta più semplicemente a chi ci governa oggi, sperando che abbia capacità di riprendere concretamente in mano le tre indicate crisi di potere. Altrimenti il primato della politica resterà un ballo solitario, e di puro spettacolo.