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 2014  marzo 08 Sabato calendario

MA QUANTO È INDIGESTO IL GRILLISMO GASTRONOMICO

Roberta Schira è una don­na d’ordine, un po’ mae­stra un po’ mistress, e ha deciso di mettere in riga la critica gastrono­mica. Con un li­bro dal titolo qua­si relativista (Mangiato be­ne?) ma dal sotto­tito­lo del tutto as­solutista (Le 7 re­gole per ricono­scere la buona cu­cina).
Purtroppo fallirà nel suo in­tento perché il ne­mico dispone di forze soverchian­ti. Da una parte, dalla parte alta del campo della critica, è attesta­ta­la potente Gui­da Michelin che i criteri li ha ma non li dice, dall’ altra, mentre dal­la parte bassa avanza il prepo­tente TripAdvi­sor che i criteri non li ha o alme­no così sembra al­la Schira: «In TripAdvisor dilaga la non-regola, la soggettività più assoluta, è un contesto in cui tut­ti possono dire tutto, e spesso mantenendo l’anonimato». A me sembra diversamente, cre­do che il recensore medio di TripAdvisor , sito che è il grillismo, il genteco­munismo, l’anticasti­smo fatto critica ga­stronomica, una re­gola ce l’abbia e che sia la seguente: «Man­gi­are molto e spendere poco». É un inquie­tante ritorno agli An­ni Cinquanta, all’Ita­lia prima del boom economico nella quale l’obiettivo prioritario (allora del tutto ragionevole, visto che si usciva dalla fame della guer­ra) era riempirsi la pancia. Ro­berta Schira, donna del nostro tempo e quindi molto attenta al­la bilancia («sempre lottando per non superare la taglia 46»), al ristorante non va certo per rimpinzarsi. Ci va per criticare, diamine, e Mangiato bene? lo ha scritto per dire che la critica non è alla portata di tutti e che prima di criticare bisogna stu­diare, magari pro­prio le sue sette rego­le. Chi vuole cono­scerne i dettagli leg­gerà il libro, gli altri sappiano che sono incentrate su sette pa­role: Ingredienti, Tecnica, Ge­nio, Equilibrio, Atmosfera, Pro­getto, Valore. La prima regola impone qualità e freschezza dei cibi e potrebbe apparire ov­via ma non lo è per nulla perché «per fare i piatti freschi al mo­mento ci vuole personale». Sic­come il personale costa, questa regola dovrebbe far capire an­che ai testoni come non sia pos­sibile, in un locale che non sia una pizzeria al taglio, mangiare bene e spendere poco. La secon­da regola impone di saper cuci­nare, altra apparente ovvietà, ma cucinare non è solo spignat­tare ma anche, ad esempio, ta­gliare o spiumare: «Essere cuochi significa ricevere in regalo un fagiano e sapere da che par­te cominciare. Giovani cuochi appena usciti dall’istituto alber­ghiero non hanno mai visto aprire un’ostrica». Giovani cuo­chi a parte, a me piacerebbe vedere un cuoco vip, un telecuo­co, alle prese con un’anguilla in­tera (non con i filetti di anguilla forniti dall’industria): sarà ca­pace di spellarla? Sarò maligno ma ho qualche dubbio. Le altre regole sono tutte molto condivi­sibili, salvo la terza e la sesta. Dai poveri cuochi l’esigentissi­ma Schira reclama addirittura il Genio. Quando è lei stessa a ci­tare il critico letterario Harold Bloom secondo il quale «genio è colui che produce opere desti­nate all’immortalità », definizio­ne crudelmente perfetta che esclude dalla categoria il 99% degli chef in circolazione. La re­gola numero 6 richiede che ogni ristorante abbia un Proget­to e fin qui sono d’accordo, è pie­no di posti senza passato né fu­turo, con liste dei piatti compila­te a casaccio, poi però mi avve­do che la critica cremasca dà al termine un’accezione faziosa facendo proprie le parole della cuoca olandese Margot Janse: «Credo che oggi per uno chef sia fondamentale l’impegno so­ciale ». Dio me ne scampi e libe­ri! La politica nel piatto, quella no e poi no. Io voglio che un ristorante abbia il progetto di far­mi scordare per due o tre ore i problemi là fuori, non di ricor­darmi la povertà, la malattia, l’immigrazione a ogni portata. A parte questa piccola sbanda­ta sinistrorsa, evviva Roberta Schira e il suo coraggio molto destro di dire che non si può giudicare senza sapere e che, se non si sa, è meglio stare zitti.