Aldo Grasso, Corriere della Sera 8/3/2014, 8 marzo 2014
Mai più in diretta! L’ultima parte della finale di «Masterchef» è andata in diretta ai Magazzini Generali di Milano, nel tentativo di costruire un evento nell’evento e di tener al sicuro il segreto sul vincitore sigillandolo in una busta nota solo a Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich (Skyuno, giovedì, ore 21
Mai più in diretta! L’ultima parte della finale di «Masterchef» è andata in diretta ai Magazzini Generali di Milano, nel tentativo di costruire un evento nell’evento e di tener al sicuro il segreto sul vincitore sigillandolo in una busta nota solo a Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich (Skyuno, giovedì, ore 21.10). Vero è che a «Masterchef» la diretta non serve, anzi è dannosa. I giudici non sono conduttori e faticano a tenere lo studio, ma soprattutto è ormai chiaro che la reale forza del programma è la perfezione del racconto, la capacità di costruire dei personaggi interessanti, lo sviluppo di una tensione emotiva che si può realizzare solo a posteriori, con il montaggio, l’aggiunta della musica, i «confessionali» dei concorrenti che funzionano da contrappunto (gli autori quest’anno di sono presi qualche vacanza: troppi riassunti!). Grazie a un’ottima scelta del casting (da cui sono nati dei veri e propri tormentoni, come Rachida, la concorrente che tutti amavano odiare), il racconto del cibo è sempre stato un’occasione per parlare d’altro: rivalità, riscatto, legame con le proprie origini, disciplina, metodo. È il racconto che ha permesso agli ascolti di crescere. Ha vinto Federico, il medico di Torino (aiuto, un feticista della sperimentazione, non un campione di simpatia!) che ha avuto la meglio su Almo (sua moglie è impietrita!). Il problema futuro di «Masterchef» sarà quello di armonizzare le dinamiche della giuria (ormai i tre sono superstar, Barbieri gira da un programma all’altro vestito come un gagà) con quelle dei concorrenti, in modo da non prevaricare. Intanto sta per partire «Junior Masterchef Italia» con la grande Lidia Bastianich, la regina della «cucina tricolore a New York». La sua presenza è una specie di risarcimento storico nei confronti della tragedia dell’esodo giuliano, una macchia difficilmente cancellabile.