Raffaele Ricciardi, la Repubblica 8/3/2014, 8 marzo 2014
GLI ENTI RISCHIANO UN MILIARDO DI PERDITE
«In una materia così nuova e complessa è più che legittima la diversità di opinioni. Non è un’opinione, però, che grazie al processo le banche abbiano versato 455 milioni al Comune di Milano e sulla base dell’inchiesta», passata per competenza alla Procura di Catanzaro, «la Regione Calabria abbia incassato 24 milioni di euro» dalla banca giapponese Nomura. Così il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha commentato la sentenza d’Appello che ha assolto gli istituti
dall’accusa di truffa ai danni del capoluogo lombardo, ribaltando il primo grado che proprio Robledo aveva vinto. Il riferimento è alle transazioni che questi hanno accettato, in sede civile e anticipando il verdetto penale, per porre fine alle liti con le controparti pubbliche. Ma cosa accadrà ai prossimi Enti che si troveranno in situazioni simili? Per gli addetti ai lavori il “fatto non sussiste” decretato ieri, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, rischia di generare un precedente che dissuaderà le banche dall’accettare di nuovo accordi prima delle sentenze penali. Sarà così più difficile per gli ammini-stratori mettere in sicuro i bilanci, sui quali ad oggi pende un rosso teorico da quasi un miliardo. Nel caso di Palazzo Marino, con l’accordo del 2012 il Comune si è garantito incassi costanti da qui al 2035; alla Calabria è arrivato un assegno da 24 milioni, meno dei 35 milioni di profitti illeciti contestati alla banca, ma oro colato in tempi di vacche magre per i conti delle amministrazioni pubbliche. La dimensione del problema è tracciata da Bankitalia, che censisce 8,7 miliardi di derivati in pancia a Comuni, Province o Regioni. Via Nazionale ammette che si tratta di una stima per difetto, visto che in molti casi la controparte è una banca straniera e tracciare operazioni così complesse è difficile. La fotografia alla fine del 2013 mostra comunque una costante diminuzione del loro peso sui conti degli Enti. Palazzo Koch ne censiva quasi 27 miliardi alla fine del 2008, dimezzati a 13,5 miliardi dopo tre anni e poi scesi ulteriormente agli 11,2 miliardi del 2012. Le ultime Finanziarie hanno a più riprese provato a mettere ordine nella materia, con limiti via via più stringenti che sono culminati nel divieto di sottoscrizione dei contratti — fatte salve alcune eccezioni — dell’ultima legge di Stabilità.
Anche la Corte dei Conti ha incalzato sindaci e governatori: «L’esperienza ha dimostrato che i rischi connessi a questo strumento sono molti e imprevedibili », ha detto il procuratore generale Salvatore Nottola all’inaugurazione dello scorso anno giudiziario, «sia perché le operazioni di rinegoziazione dei derivati prevedono già in partenza condizioni sfavorevoli per gli Enti, sia perché a volte vengono assunti rischi aggiuntivi». In sostanza, per i magistrati contabili un sindaco che si siede al tavolo con le banche parte già in posizione di svantaggio. Una minaccia che si comprende spulciando i dati di Bankitalia: pur se il valore nozionale è sceso sensibilmente, le perdite potenziali legate ai derivati sono rimaste costanti negli ultimi anni. Se gli amministratori decidessero di chiudere oggi i loro contratti, dovrebbero sborsare 922 milioni agli istituti. Un conteggio fatto in base al cosiddetto fair value, cioè il valore effettivo dello strumento finanziario. Le più esposte nel rilevamento sono le Regioni: 11 amministrazioni che potrebbero registrare 472 milioni di perdite, tra le quali spiccano i 287 milioni del Piemonte e i 128 milioni della Campania. Ma sono ben 128 i Comuni coinvolti, che metterebbero insieme un buco di 319 milioni alla chiusura dei contratti al valore attuale. Seguono le Province, con 106 milioni e le altre amministrazioni con 25 milioni. Di contro, i casi in cui vincerebbero gli Enti sono pochissimi e con un possibile incasso per gli amministratori pubblici nettamente inferiore. Il calcolo di Bankitalia dice che il “valore positivo di mercato” dei derivati, cioè le somme che le banche dovrebbero versare al pubblico in caso di chiusura anticipata del contratto, è di soli 62 milioni.