Giuseppe Bottero, La Stampa 7/3/2014, 7 marzo 2014
Schivo, così schivo da chiamare la polizia per allontanare il cronista che l’ha scovato dopo una caccia durata mesi
Schivo, così schivo da chiamare la polizia per allontanare il cronista che l’ha scovato dopo una caccia durata mesi. Con un carattere terribile, tanto che il fratello non si fa problemi nel definirlo uno «stronzo». Eppure, in qualche modo, geniale. Eccolo Satoshi Nakamoto, l’uomo che nel 2009 ha inventato il Bitcoin e poi si è dato alla macchia, conducendo una vita da recluso in California: barricato in casa con la madre adorata e una sterminata collezione di trenini in miniatura. A svelare il segreto meglio custodito del Web sono stati necessari scambi di mail, inseguimento e il talento dei giornalisti di Newsweek, il settimanale statunitense che festeggia con uno scoop il ritorno in edicola. Un giubbino grigio da pensionato, gli occhiali da secchione, il cappello da baseball, una passionaccia per la matematica. L’uomo che ha inventato la moneta elettronica non ha l’aria del banchiere e neppure quella del pirata informatico. Ha 64 anni, è un ex fisico americano di origine giapponese che è emigrato negli Stati Uniti a 10 anni, discende dai Samurai e si è laureato al Politecnico della California. Poi una misteriosa carriera passata a lavorare su dossier segreti per l’esercito americano e per imprese private. Neppure di fronte ai cronisti ha riconosciuto di essere il papà del bitcoin. Non è timidezza. È che non gli interessa. «Non lo ammetterà mai» dice il fratello Arthur Nakamoto, lo stesso che - nel descriverlo - non lesina in insulti. «Di bitcoin non parlo», spiega Satoshi a Newsweek. «E’ un tema che non mi appartiene più». Nessuno sapeva della sua invenzione: la moneta del futuro. Neppure la sua famiglia. Satoshi è un uomo riservato che comunica esclusivamente via mail. Un super-ricco (il suo patrimonio in cybermonete ammonta, al cambio attuale, a 400 milioni di dollari) che si sposta su una piccola utilitaria. Un patito delle formule che ha regalato il suo algoritmo al Web e non accetta di essere stritolato dagli ingranaggi della finanza tradizionale. «Abbiamo sempre e solo parlato di codici» dice Gavin Andresen, per anni suo braccio destro, che racconta di lunghe discussioni al computer, senza mai alzare la cornetta. Fino al 2011, quando il papà dei bitcoin si è volatilizzato. Certo, un articolo, per quanto ben strutturato, non è sufficiente per diradare la coltre di nebbia dietro cui il signor Nakamoto è riuscito a nascondersi. Ieri, per tutta la giornata, su Twitter si sono mescolati lo sdegno di chi accusava Newsweek di un’operazione da sciacallo, e le speranze dei «duri e puri», convinti che l’uomo col cappellino non sia che un impostore. Meglio pensare che dietro l’algoritmo del momento ci sia un avventuroso hacker piuttosto che un placido californiano con la fissa per le locomotive elettriche. Satoshi. La miccia che ha acceso la corsa del bitcoin, il signor Nakamoto, l’ha innescata nel 2008: un documento di nove pagine postato in rete che proponeva la nascita di «una moneta elettronica» che «permettesse pagamenti tra privati senza la mediazione di un istituto finanziario». È andata bene: attualmente in circolazione ci sono monete virtuali per un valore di 1,3 miliardi di dollari. Pare che a dare il «La» all’operazione sia stato il pignoramento della casa da parte di una banca: la sfida, allora, è stata creare una valuta parallela, invisibile, senza commissioni. «Lavorava a tutte le ore. Il suo ufficio era sempre chiuso a chiave e chi vi entrava e toccava il suo computer era in pericolo. Ama la nuova e la vecchia tecnologia, costruisce i computer che usa e ne è molto orgoglioso» racconta la figlia, che ha interrotto da tempo i contatti col padre. È curioso che Satoshi Nakamoto abbia gettato la maschera - anzi, che gliela abbiano sfilata - proprio in questi giorni, i più delicati per la valuta virtuale. Dopo il collasso di Mt. Gox ha chiuso anche la piattaforma Flexcoin.