Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  marzo 07 Venerdì calendario

LUCA CASARINI, DALLE TUTE BIANCHE A TSIPRAS

Si nasce incendiari e si muore cumenda. Si nasce antagonisti e si muore di partita Iva. Si nasce rivoluzionari e si muore onorevoli, italiani o europei è uguale, uomini o caporali è lo stesso, «basta che ci sia posto», come canta Vasco Rossi. Insomma si nasce Casarini e Casarini si campa: però diversi, mica come Casini che, alla fine è sempre il solito professionista del galleggiamento nel potere.
Da quanto tempo Casarini puntava allo scranno? Da anni, forse da quando è nato a Venezia, nel 1967, e subito si mise a “disobbedire”, come specificato nell’ossuto curriculum nel retrocopertina del suo unico, non fortunatissimo libro, uscito per Mondadori («Un risarcimento», lo considerava lui, senza specificare per cosa): come percorso di vita, ha «guidato numerose azioni di protesta e partecipato a svariate occupazioni». Un Mozart della rivolta sociale. Che però non ha sempre convinto tutti circa la genuinità delle sue azioni casinare: c’è chi, come leader delle Tute Bianche, lo considera una vittima della maledetta Genova, chi una delle concause e altri ancora un esibizionista irrilevante.
Il cursus honorum, comunque, è indiscutibile e si dice che Casarini abbia sempre rosicato per lo sbarco nel Palazzo dell’antagonista napoletano Francesco Caruso, antagonisticamente meno blasonato eppure penetrato con Rifondazione Comunista, senza peraltro aver lasciato grande impressione («Forza Caruso, cerchi di ragionare un po’ anche lei», lo annientò con paternalistica perfidia una volta Giuliano Ferrara). Da allora, insinuano i maligni, continue trattative sotterranee, senza mai la fioritura del sol dell’avvenir parlamentare: daje, Luca, che forse è la volta buona. Con la lista Tsipras, ultima Thule di certa sinistra traversale e al caviale, da Repubblica al Fatto passando per MicroMega (sarebbe interessante sapere da Travaglio che ne è stato dell’antico progetto di rifondare «una destra liberale, montanelliana»).
Ma è proprio vero che un altro mondo è possibile: Luca Casarini, nella sfibrante attesa del salto di qualità, ha aperto la sua partita Iva «per consulenze di marketing e pubblicità», praticamente la famigerata economia postcapitalista del sovrappiù, e si è dato ai talk show, cioè in quell’universo mediatico-consumistico sempre aborrito. A parole.
Sempre a parole, ha puntualmente negato responsabilità nei vari tumulti in cui andava a ficcarsi: ma di eccitare gli animi, di cercare e minacciare lo scontro fisico, di muoversi sull’ambiguo crinale della non violenza violenta, del pacifismo a schiaffoni, Casarini di responsabilità ne ha sempre accumulata da vendere, o meglio da spendere.
Già tutto visto, tutto sentito negli anni formidabili: quelli come il masaniello veneto giocano sulla storica impunità che avvolge gli agitatori di professione, nel senso che non fanno altro per tutta la vita finché non vengono folgorati sulla via di Segrate (il famoso entrismo, cui nessuno resiste, ma per motivi intellettuali).
Sanno, i Casarini, che quaggiù nessuno viene preso più sul serio di chi non fa sul serio, che il grido contro la borghesia mercadora può venire da chiunque, ex comici esagitati, lunatici, desideranti, mistici, spostati, ma tutti lucidamente decisi a entrare nelle istituzioni borghesi, nel reticolo borghese dell’ipertrofia burocratica, legalistica.
Vivi e lascia vivere chi non ti fa vivere. Dieci anni fa Casarini e le sue tute disobbedienti bloccavano le vie d’accesso al teatro la Fenice dove si rappresentava un’opera in onore di 700 delegati Nato. «Possiamo fare tutto quello che vogliamo» disse allora il Masaniello veneto, facendo coriandoli del Patto Atlantico e sicuramente sgomentando gli Usa guerrafondai.
Poi, nel nome della nonviolenza, trombonò a raffica, in particolare contro l’allora segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti: «Vuol fregare la gente. Dice che vuole fare il rivoluzionario, ma si sta preparando il terreno per andare al governo con la sinistra».
Antagonista, cura te stesso, verrebbe da dire. Ma il pulpito non è mai stato un problema per certi rivoluzionari nietzschianamente occupati a essere un capolavoro. Casarini, secondo alcuni, è un sacco vuoto, di sostanziale non ha nulla, di carismatico ancor meno.
Certo, l’insinuazione che fosse ossessivamente intento a prepararsi un futuro istituzionale, senza neppure le velleità pseudoculturali di certi, cui Indro Montanelli dava appuntamento al museo dei rivoluzionari «ben provvisti di pancia e cellulite», sembra trovare oggi un epilogo fatale, di drammatica evidenza; anche se non tutti accolgono di buon grado questo plurindagato per plurimi casini che rischia di provocare una sorta di cortocircuito nell’area di appoggio acritico alla magistratura, altrimenti detta del garantismo filogiustizialista.
Casarini è, almeno a parole, un antagonista che con la Giustizia ha ancora alcuni conti aperti, e non si può stare – così argomentano alcuni simpatizzanti di peso in seno alla lista dell’ex studente greco - contemporaneamente coi giudici e con un plurinquisito.
D’altra parte, Luca è, sempre a parole, a sinistra di ogni sinistra, il che gli garantisce l’appoggio di alcuni reduci dei formidabili anni. Ma lo sponsor più pesante è il capolista, Tsipras, che «di persona personalmente» ha consacrato, se non blindato, la candidatura dello zelante pre-occupatore del parlamento europeo.
Vedremo se la sua verve porterà più consensi o delusioni, ma certo che, già da questi presupposti, la lista in questione sembra sempre più rievocare, come missione, la Sipra del Servizio Pubblico, quella della raccolta pubblicitaria.