Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 07 Lunedì calendario

CANDY BOOM


Riccardo Zacconi, 47 anni, ricorda bene il momento in cui decise di non seguire le orme paterne: «A 18 anni andai a provare la pratica nello studio dentistico di famiglia e dopo due giorni capii come sarebbe stata la mia vita: troppo prevedibile». È però curioso che, pur rinunciando a un lavoro sicuro, quasi 30 anni dopo abbia trovato il miglior alleato nelle caramelle, un po’ come il papà: anziché cariare i denti, i confetti colorati e virtuali di "Candy Crush Saga" sono infatti diventati una passione per 93 milioni di persone che, quotidianamente, divorano su telefoni e iPad il videogioco realizzato dalla King.com, la società fondata da Zacconi nel 2003. Al punto che l’anno scorso il gioco è diventato l’applicazione gratuita più scaricata al mondo sull’Apple Store, con oltre mezzo miliardo di utenti. Grazie a questo successo, la King ha presentato domanda per quotarsi sulla Borsa americana, con l’obiettivo di raccogliere 500 milioni di dollari.
La strada di Zacconi per arrivare al successo è stata lastricata di scommesse, momenti di crisi e vittorie. Nato a Roma, laurea in Economia alla Luiss, all’inizio degli anni Novanta emigra in Germania e lavora per una società di consulenza. «Poi nel ’99 il boom del Web mi ha convinto a tentare una strada più avventurosa e così ho contribuito a fondare Spray, un portale di servizi e contenuti on line», racconta Zacconi. Sono gli anni della bolla speculativa che genera grandi guadagni e, poi, incommensurabili perdite. Un copione che Zacconi vive sulla sua pelle: Spray in un solo anno passa da 80 a 300 dipendenti ed è pronta ad andare in Borsa a marzo del 2000. Un lieve ritardo manda però in fumo l’operazione, perché intanto Wall Street crolla. Zacconi e i suoi soci (tra i quali lo svedese Sebastian Knutsson, con cui poi creerà anche King) riescono però a vendere la loro società al gruppo americano Lycos, ricevendo in cambio azioni per un valore teorico di 764 milioni di dollari. Sembra un affare, non lo è: subito dopo i titoli Lycos si inabissano e il valore del pacchetto nelle mani di Zacconi e soci si riduce a soli 300 mila dollari.
Assorbita la batosta, il manager romano è pronto a rilanciarsi: dopo aver sviluppato SprayDate, un sito gratuito di incontri, accetta di lavorare in un’altra società nuova di zecca, sempre nello stesso campo, chiamata UDate.com. Andare su Internet per conoscere un partner negli Stati Uniti è già un business consolidato, ma in Europa è una novità: il nuovo sito raccoglie in breve tempo undici milioni di cuori solitari e, dopo un po’, viene venduto per 150 milioni di dollari al gigante IAC/InterActiveCorp, che la fonde con Match.com, un servizio analogo tuttora molto presente sul Web. Zacconi, però, rinuncia alla carica di vice presidente e, imbattutosi nei videogiochi, fonda la sua King, grazie anche a un investimento di 43 milioni di dollari da parte di due fondi, Apax Partners e Index Venture.
È l’epoca in cui i portali attraggono nuovi utenti con i videogame e così King crea contenuti per Libero.it e altri siti del genere. Dopo un inizio difficile, che la porta sull’orlo del fallimento, la societá supera l’impasse e comincia ad essere redditizia. È il 2005 e il fatturato prende a crescere in maniera costante, grazie ad accordi con partner come Yahoo!, finché nel 2009 l’ennesima crisi regala a Zacconi l’intuizione determinante: «I profitti scendevano perché gli utenti erano distratti da Facebook, così abbiamo deciso di portare lì i nostri giochi. Ma non è stato facile: abbiamo dovuto chiudere diversi uffici e assumere ex novo tutto il reparto marketing».
Un azzardo, considerato che sul social network del momento impazza FarmVille, il videogioco per contadini virtuali che fa le fortune del concorrente Zynga. Eppure King riesce a ritagliarsi uno spazio, fino al boom di "Candy Crush", lanciato nel 2009 e sbarcato appunto su Facebook e poi sui telefonini. Il modello economico prevede la gratuità del videogame, ma anche micropagamenti da 89 centesimi di euro: se non si riesce ad allineare le caramelle sulla scacchiera per farle scomparire, si possono comprare aiuti e partite extra. La difficoltà in alcune fasi del gioco è tale che per risolvere tutti i puzzle bisogna ripetere lo stesso livello più volte, finché pagare diventa l’unica alternativa per battere la noia. Infatti molti giocatori, per evadere quella che si rivela una tassa quasi inevitabile, cercano sul Web trucchi e suggerimenti forniti da altri utenti più scaltri.
Il risultato è che il titolo interattivo più popolare di King genera nei soli Stati Uniti su iPhone e iPad un fatturato giornaliero di 794 mila dollari. Zacconi sostiene che quando si lancia una nuova impresa «l’importante è guardarsi intorno per vedere che qualcun altro non l’ha già realizzata». Anche se, a dire il vero, "Candy Crush" ricorda molto da vicino "Bejeweled", un videogioco lanciato nel 2001, così come "Bubble Witch" (altro titolo di successo di King) è chiaramente ispirato a "Puzzle Bobble", un gioco giapponese del 1994. Ma sono la confezione e il modello di business a rivelarsi vincenti, tanto che nell’ultimo anno l’utile di King è cresciuto da 8 a 567 milioni di dollari, mentre il fatturato ha raggiunto quota 1,88 miliardi di dollari.
Nonostante l’apparente solidità dei numeri di King, nel mondo finanziario c’è un certo scetticismo per l’imminente offerta pubblica per la quotazione in Borsa. È vero che la società ha tre videogiochi nella top 10 dei più scaricati al mondo, e l’ultimo arrivato "Farm Heroes Saga" in America produce già un fatturato giornaliero di 192 mila dollari, con tanto di spot in tivù: tuttavia "Candy Crush" rappresenta ancora una fetta molto rilevante del fatturato: il 78 per cento. E un leggerissimo calo degli introiti nell’ultimo trimestre del 2013 fa temere che, finita la moda, King possa sgonfiarsi come avvenuto per Zynga dopo il tramonto di "FarmVille": le sue azioni, messe sul mercato a 10 dollari nel 2011, oggi ne valgono 5.
In ogni caso la società di Zacconi (che detiene il 10 per cento del capitale) non perde tempo e con una mossa senza precedenti il 21 gennaio ha ottenuto il brevetto della parola "candy", caramella, che potrà usare in maniera esclusiva non solo per le applicazioni mobile, ma anche per settori come editoria e abbigliamento, di fatto mettendo fuori gioco i concorrenti che utilizzano lo stesso nome nel titolo dei loro videogame. «Ci hanno attaccato con veemenza», dice Zacconi, «ma in realtà non c’è nulla di strano nel brevettare un nome comune per utilizzi specifici: basta pensare ad altri esempi come Time, Money, Fortune e Apple».
La società, che punta a diventare leader nel mercato dei videogame su piattaforme mobili (valore del segmento: 40 miliardi di dollari) ha oggi 550 impiegati, dislocati tra il quartier generale a Londra e le varie sedi, da Seul a Bucarest. Esisteva anche una società italiana, ceduta nel 2012 al gruppo milanese Digital Bros, che l’ha ribattezzata Scopa.it: un sito in cui si possono scommettere somme di denaro su carte, bingo e altri giochi, tra i quali anche "Candy Casino", una slot machine con dolcetti e caramelle chiaramente ispirata al videogame di successo. «Gliel’abbiamo regalato, se si può dire così, perché siamo usciti dai giochi con soldi veri in Italia», ha spiegato Zacconi: «Era una specie di esperimento che abbiamo deciso di chiudere. Ora in Italia offriamo solo giochi gratuiti su Facebook e smartphone».
Che la Borsa funzioni o no, Zacconi una ricetta per il successo ritiene di averla: «Quando lanci un prodotto devi pensare in maniera globale», sostiene, «mentre spesso in Italia si guarda solo al mercato interno. Inoltre è necessario avere una visione di lungo termine ed essere trasparenti per attrarre i migliori talenti: quando assumo i dipendenti cerco persone intelligenti, in grado di lavorare in team e dire la propria, anche se è il contrario di quello che penso».