Camilla Conti, L’Espresso 7/4/2014, 7 aprile 2014
FONDAZIONI CONTRO BANCHE
A difendere il fortino delle fondazioni sono rimasti due ottantenni decisi a non retrocedere di un millimetro. Uno è Giuseppe Guzzetti, classe 1934, presidente della fondazione Cariplo, azionista forte di Intesa Sanpaolo. L’altro è Giovanni Bazoli, nato nel 1932, numero uno proprio di Intesa. «Non ci lasceremo espropriare dei nostri diritti di azionisti né lasceremo che i nostri territori siano espropriati delle Casse locali», è stato il grido di battaglia che Guzzetti ha fatto risuonare di recente. «Ci dovrebbe essere un’ordinata transizione verso investitori istituzionali di alta qualità. Servirà tempo», ha sottolineato Bazoli in un’intervista al "Financial Times", rispondendo ai dubbi sul fatto che le fondazioni stiano per perdere il loro status di primi azionisti dei grandi gruppi bancari italiani.
Quella che i paladini delle fondazioni stanno combattendo è una battaglia piena di rischi. Lo dimostrano i casi del Monte dei Paschi di Siena e della Banca Carige di Genova. Gli enti azionisti delle due banche, infatti, hanno deciso di frenare gli aumenti di capitale che i management di entrambi gli istituti chiedevano a gran voce proprio alla vigilia degli stress europei, ovvero del check-up che le autorità della Comunità effettuerano sui bilanci. L’obiettivo delle fondazioni è ritagliarsi il tempo per vendere una parte delle loro quote sul mercato, incamerare la liquidità necessaria per salvarsi dall’estinzione e preservare qualche libertà di movimento per il futuro.
Un’azione legittima ma che, per certi versi, rischia di apparire tardiva. Perché per anni le fondazioni hanno cercato di mantenere il controllo delle rispettive banche, rinviando l’obbligo di diversificare gli investimenti. Quando la crisi dei due istituti è precipitata, però, gli enti azionisti sono rimasti pieni di debiti e a secco di dividendi, ovvero senza le risorse che erano abituati a ridistribuire sul territorio. Ne è seguito uno scenario che nessuno si sarebbe mai aspettato, ovvero un duello in campo aperto con i manager delle rispettive banche.
A Siena, la presidente della Fondazione Mps, Antonella Mansi, ha vinto in assemblea il primo round contro il numero uno del Monte, Alessandro Profumo, costretto a rinviare di qualche mese l’aumento di capitale di tre miliardi. La Mansi ha cercato dei compratori disposti ad acquistare una quota delle sue azioni della banca. A dispetto dell’interesse che molti investitori sembrano nutrire per le banche italiane, vi è riuscita però solo in minima parte, faticando a reperire le risorse necessarie per rimborsare i 300 milioni di debiti contratti con gli istituti finanziatori ai tempi dell’operazione Antonveneta. E così, la Mansi ha tentato un nuovo colpo a sorpresa: una richiesta di danni nei confronti di chi, all’epoca, aveva organizzato e partecipato a una complicata operazione di finanziamento, nota come "Fresh", molto onerosa per la banca. A Siena si dice che lo scopo di questa mossa sia ottenere l’annullamento dei debitti contratti a suo tempo, liberando la fondazione del fardello che si porta addosso. E, al contempo, fare pressioni sulle banche creditrici perché allentino la presa.
Anche a Genova la Fondazione Carige ha tentato di rinviare la ricapitalizzazione chiesta dal consiglio di amministrazione della banca, cui servono 800 milioni per sanare le perdite. Così facendo, però, i soci di riferimento delle due banche finiscono per posticipare il rafforzamento degli istituti su cui, un tempo, basavano le loro fortune. Al punto che più parti, oggi, invocano una riforma del sistema. Per il Fondo monetario internazionale sarebbe opportuno rivedere la normativa sulle fondazioni per migliorarne la trasparenza, assicurare l’efficienza del governo societario e aumentare i poteri della vigilanza.
Anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha chiesto alle fondazioni di non interferire negli «assetti societari e nelle scelte imprenditoriali» delle banche. Nel frattempo gli analisti di Mediobanca Securities hanno suggerito una soluzione transitoria, ovvero convertire le azioni di proprietà degli enti nei cosiddetti "CoCo bond". Guzzetti, che è anche presidente dell’Acri, la lobby delle fondazioni, ha rispedito i consigli al mittente e ha puntato il dito sul conflitto di interesse di Piazzetta Cuccia nel caso Mps (Mediobanca è creditore dell’ente azionista e al tempo stesso uno dei garanti dell’aumento di capitale del Monte organizzato da Profumo). Dimenticando che per settimane lui stesso ha tentato di mettere insieme una cordata per acquistare una parte delle quote dell’ente senese, cercando alleati in Compagnia Sanpaolo, Cariverona e CariFirenze.
L’alfiere dell’Acri fa il duro perché non teme rivoluzioni imminenti. È difficile infatti aspettarsi riforme sostanziali finché le fondazioni resteranno azioniste con circa il 18 per cento della Cassa depositi e prestiti che oggi, di fatto, svolge il ruolo di vera banca pubblica. Appena insediato a Palazzo Chigi anche Matteo Renzi ha promesso un piano per sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese e per le coperture ha pensato di attingere ai forzieri della Cdp. Cassa guidata dall’ amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, considerato vicino a Bazoli e attento alle esigenze delle fondazioni, che già esprimono a norma di statuto la presidenza, oggi affidata a Franco Bassanini, ispiratore della soluzione renziana ai debiti della pubblica amministrazione.
La spallata alle fondazioni, insomma, può attendere. A meno che non vi siano altre incursioni come quella del fondo americano Blackrock, che ha conquistato il 5 per cento di Intesa scavalcando la Cariplo e diventando il secondo azionista della banca dopo la Compagnia Sanpaolo. Un’incursione che potrebbe aprire la strada ai numerosi fondi, soprattutto arabi, che sarebbero a caccia di occasioni d’acquisto nel settore.