Franco Bechis, Libero 7/4/2014, 7 aprile 2014
LE RIFORME DI SCALFAROTTO: CAMBIARE I MOBILI DELLA KYENGE
Per un paio di giorni è stato il braccio di ferro che sembrava non fare partire il governo di Matteo Renzi. L’alleato e frenatore cortese Angelino Alfano non sbloccava il varo della squadra di sottosegretari per la presenza nella lista del Pd di Ivan Scalfarotto. Il braccio di ferro non era tanto sulla persona (un po’ sì), ma sull’incarico che Scalfarotto - renziano già vicepresidente e pure reggente la presidenza del Pda vrebbe avuto nel governo. Mirava alle deleghe su integrazione e pari opportunità che erano affidate nel governo precedente a Cécile Kyenge. Alfano si è messo di traverso, perché il nome di Scalfarotto fa venire la pelle d’oca a gran parte dei cattolici italiani (è il padre del contestatissimo disegno di legge sull’omofobia ed è apertamente schierato per i matrimoni gay), e alla fine le deleghe sono saltate. Scalfarotto è diventato sottosegretario della ministra Maria Elena Boschi, e la assiste nei rapporti con il Parlamento e nelle riforme istituzionali. Appena insediatosi però si è preso una piccola rivincita. Le deleghe della Kyenge non erano disponibili? Lui ha chiesto almeno di prendersi l’ufficio dell’ex ministro. E in quattro e quattr’otto ha occupato quello e le stanze degli ex collaboratori con il suo staff. Nei palazzi il potere spesso si misura in centimetri quadrati e simboli, e certo la possibilità per un sottosegretario di occupare la stanza di un ministro uscente ha fatto lievitare le azioni di Scalfarotto nella scala del potere. Ancora più dopo la sua decisione. Il nuovo sottosegretario appena messo piede nella stanza della Kyenge ha dato un’occhiata a scrivania, cassettiera, credenza con porte in vetro e suppellettili vari e ha ordinato: «Via tutto! ». Ci voleva coraggio, perché non tutti avrebbero potuto infrangere in un attimo un sacrario dell’integrazione e delle pari opportunità. L’avesse fatto un sottosegretario del centro destra probabilmente subito si sarebbe alzato qualcuno a puntare indignato il dito: «Cosa è, razzismo? Non si poteva sedersi sulla stessa poltrona su cui si era poggiata la Kyenge? Appoggiarsi alla stessa scrivania? Aprire i cassettoni da lei utilizzati?». Ma Scalfarotto ha la fortuna di essere immune da simili commenti idioti. Semplicemente il suo gusto estetico fa a pugni con quello dell’ex ministra di origine congolese. Così, piazza pulita. Gran parte degli arredi personalizzati se ne erano andati con la stessa Kyenge, che se li era portati da casa. Sparite croci e crocifissi (naturalmente anche quello costruito con le barche degli immigrati sbarcati a Lampedusa). Via il porta nome e carica cucito all’uncinetto, dove spiccava il nome della ministra in filo turchese. Non ci sono più i numerosi porta-fotografia, che ritraevano la ministra in compagnia autorevole. Portati probabilmente a casa anche la miriade di targhe, coppe, premi e premiolini che la piaggeria nazionale aveva assegnato alla ministra in questi mesi, facendola diventare scrittrice, giornalista, professoressa ad honorem. Il resto piccola libreria compresa è stato fatto fuori dai facchini di palazzo Chigi che sono andati a pescare nel magazzino gli arredi graditi da Scalfarotto e dal suo staff che si è insediato nelle stanze attigue…