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 2014  aprile 07 Lunedì calendario

MILAN, IL PIANO PARTE DALLO STADIO


Sono esattamente sei anni che Fininvest e il patron Silvio Berlusconi smentiscono categoricamente le indiscrezioni che di volta circolano sui mercati, italiani ed esteri (l’ultima è arrivata infatti dall’America via Bloomberg nella serata di mercoledì), in merito alla cessione del Milan.
La holding di via Paleocapa l’ha fatto formalmente, ancora una volta proprio l’altra sera, bollandole come «ipotesi totalmente prive di fondamento». Silvio Berlusconi si è ripetuto pubblicamente ieri, durante la presentazione di un libro a Palazzo Giustiniani: «No, no, no», ha risposto secco a cronisti e tifosi che gli chiedevano se stesse vendendo il Milan. Chi invece non ha preso una posizione formale è Lazard, la banca d’affari citata dall’agenzia americana che si sarebbe fatta portatrice di alcuni interessi generici di potenziali compratori molto probabilmente del Medioriente o, in seconda battuta, del Far East. A questo proposito, si cita la Cina, mentre la crisi in Ucrania starebbe frenando eventuali velleità di oligarchi russi vicini a Putin. Ma Lazard, che non ha un mandato formale da parte di Fininvest, non sarebbe l’unica merchant bank internazionale ad aver presentato a più riprese alla famiglia Berlusconi (Barbara è vicepresidente e co-amministratore delegato del Milan, la sorella Marina è presidente di Fininvest) e alla holding proposte informali e manifestazioni d’interesse generiche. Del resto il brand del club rossonero, uno dei più titolati al mondo (il museo di San Siro è tra i più visitati tra quelli dei principali sodalizi calcistici a livello globale), ha appeal sia sul fronte calcistico sia su quello commerciale e di marketing, tanto che la rivista Forbes lo colloca al sesto posto assoluto (nonostante da anni non vinca né in Italia né in Europa) con una valutazione di 945 milioni di dollari (681,6 milioni di euro). Una cifra non lontana da quel miliardo (di dollari) al quale il fondatore di Forza Italia non direbbe di no, anche se oggi come oggi non c’è nessuno in giro per il mondo, tra sceicchi, fondi sovrani, magnati, tycoon o boss del petrolio pronti a spendere così tanto per una squadra di calcio che a dal 2010 al 2013 ha cumulato perdite per 152 milioni (8 milioni l’ultimo anno), ha un giro d’affari di oltre 260 milioni e un debito finanziario complessivo di 240 milioni. Tradotto, in soldoni, il Milan ha un valore netto di 450, al massimo 500 milioni, la metà di quanto vorrebbe incassare Berlusconi. Per di più, visto che ancora una volta è stata smentita la cessione, l’ipotesi che potrebbe restare valida è quella dell’apertura del capitale a un partner disposto a restare in minoranza, anche nel cda, e quindi a non poter decidere granché. Ovvio che però anche un 30-40% del club avrebbe valore: si dice almeno di 250-300 milioni. Troppi soldi per contare poco o nulla? Secondo molti, sì.
C’è però un’altra opzione sul tavolo, secondo quanto circola in ambienti finanziari e sportivi e secondo quanto riportato ieri da milanofinanza.it anche via Twitter: quella relativa all’eventuale alleanza strategica tra la Fininvest e un soggetto straniero per la realizzazione dello stadio di proprietà. Il progetto piace a Barbara Berlusconi e potrebbe aver un costo di realizzazione di 300 milioni: per l’area si guarda a Sesto San Giovanni (terreni di Beni Stabili) e la sede dell’Expo2015. La cifra al momento non è alla portata della holding di via Paleocapa, impegnata anche a far fronte alla ristrutturazione della Mondadori. Per questo si potrebbe cercare un partner strategico con quale poi avviare trattative per un eventuale ingresso nel capitale del Milan, visto che tra qualche anno l’opzione potrebbe essere accettata da tutti i membri della famiglia Berlusconi.
Quindi come fare tecnicamente? Una soluzione potrebbe essere la vendita della minoranza, magari qualificata, del club e la contestuale firma di un accordo di call a favore del compratore in modo tale che quest’ultimo nell’arco di qualche anno passi in maggioranza. Una modalità soft per cedere un asset che dà visibilità assoluta ma che da sempre è la zavorra finanziaria di Fininvest. Un modo per rientrare degli ingenti oneri di costruzione potrebbe essere l’accordo con un colosso internazionale per la sponsorizzazione del nuovo impianto. In questo senso, in pole position c’è Etihad, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti che ha sede ad Abu Dhabi ed in trattativa per rilevare una fetta importante del capitale di Alitalia.