Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano 7/4/2014, 7 aprile 2014
ADDIO SGALAMBRO FILOSOFO DI STRADA
Se l’odio è l’unico motore del pensiero e la misantropìa l’approdo ultimo di chi ha troppo parlato senza essere capito, a Manlio Sgalambro, nell’ora della sua celebrazione, hanno fatto il dispetto definitivo. L’appropriazione indebita. L’apologia collettiva che ora attraversa gli usci inviolati: “La società si ferma sulla soglia della mia porta” e dipanando le collaborazioni illustri da Battiato a Celentano, osserva distrattamente, con la sciatta sintesi del necrologio, i suoi quasi novant’anni volati via tra un’avventura, un litigio e un libro di filosofia.
ERA FILOSOFO il siciliano Sgalambro, certo. Ed era Siciliano benché non si appassionasse alle dispute millenarie: “Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla” e non distinguesse in un nichilismo che non era mai facciata, ma pura essenza: “un vaso di terracotta da Mussolini”. Capitava a chi come lui, passato tra le guerre e le rivoluzioni anche interiori, aveva visto sbarcare gli americani e incontrato la letteratura prima ancora di conoscere la solitudine e riscoprirne il lusso, la forza, il peso da tarare ogni giorno assecondando l’incedere del tempo. Il lampo di luce filtrato da una finestra. Il desiderio di riscrivere la vita concedendo all’esistenza tutti i registri, tutte le maschere, tutte le interpretazioni.
Ad Antonio Gnoli che lo incontrò più volte riproducendo sempre conversazioni illuminanti non del tutto aliene alla psichedelia, Sgalambro lo spiegò con le parole relativamente semplici di una complicatissima architettura ontologica: “Sì, nella finzione mi giovo di me stesso. Elaboro conoscenza. Ho sempre scritto i miei libri recitandoli in me... ho sempre detestato le filosofie problematiche. La filosofia deve dare soluzioni”. Ai propri dilemmi, con il suo cognome da pesce inscatolato, Sgalambro rispondeva saltando fuori dalla confezione. Rifiutando imbottigliamenti, definizioni, consessi affollati, tonnare e mattanze.
Persuaso che “Bene e male” fossero “due decisioni umane” perché ciò che li separa “non è mai un taglio netto”, Sgalambro fece congiungere volentieri la sua inquietudine con quella di Battiato. Con i capelli lunghi, l’indole ribelle e il profilo da migrante, Franco aveva praticato la sperimentazione estrema senza negarsi poi, al princìpio degli Anni 80, ai tempi in cui i seguaci corrompevano gli albergatori pur di vedere nell’intimità e nel sonno l’autore di Bandiera Bianca, l’alta marea del successo senza argini.
Già all’epoca, era il ’94, Manlio percorreva a grandi passi l’autostrada dell’ascesi restituendosi una solitudine cercata e inseguita con certosina maniacalità. Battiato bussò alla sua porta proponendogli una collaborazione. Nacque un album, quasi per scommessa, in venti giorni. Poi ne vennero altri in mezzo a opere, film, convegni, concerti con palchi da dividere, convergenze occasionali tenute in piedi dalla reciproca contaminazione. Perché sarà anche vero, come raccontò Sgalambro alla brava Concetta Bonini di Panorama che l’amicizia è un valore sopravvalutato e che con Battiato, da rabdomanti tra le ombre alla scoperta della luce, ci fu negli interstizi qualche scazzo. Ma non c’era virata aristocratica né abiura a posteriori che potesse cancellare l’affetto dello scambio primigenio.
UN CANTANTE acclamato, così coraggioso da riscrivere le proprie categorie a 50 anni e un ermeneuta di due decenni più vecchio, chino sulla sintesi ardita di due esperienze apparentemente inconciliabili. Se non fosse scorso qualche capolavoro, si sarebbe detta semplice curiosità. Così tra una variazione e un capriccio morale, tra un libro, un incontro con Calasso, una canzone per Patty Pravo, e un’alba da trovare ancora dentro l’imbrunire, la luce accesa da Battiato colpì di riflesso e fuori tempo massimo anche chi aveva custodito la propria, con tocco eremitico e involontaria aura da santone.
Sgalambro aveva scagliato l’anatema: “La filosofia è un eccesso mentale che si è trasformato in spazzatura. Il filosofo è diventato un intellettuale acchiappatutto. Avrebbe dovuto restare il più lontano possibile dalla tentazione della polis. E invece c’è dentro fino al collo” e si era comportato di conseguenza. Poi suonarono le note giuste e per fortuna, oltre il giardino, dalla porta del rifugio catanese, si affacciò al mondo anche il suo profilo sghembo.