Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 7/4/2014, 7 aprile 2014
LA METAMORFOSI DEL DRAGONE
Al confronto dell’immediatezza della violenza dei soldati armati e degli scontri di piazza in corso da giorni in Ucraina, rispetto alla prospettiva di una nuova Guerra fredda edizione anni 2010 tra la Russia e l’Occidente, la ritualità barocca, il linguaggio involuto e l’organizzazione esoterica del Parlamento cinese sembrano proprio fuori dal tempo.
Eppure molto probabilmente è proprio dal Congresso nazionale del popolo (Npc, il parlamento cinese) in corso in questi giorni a Pechino (incomprensibile ai più proprio come un consesso segreto di cardinali) che verranno le conseguenze maggiori per la politica e l’economia del pianeta.
Con un obiettivo per il 2014 di aumento del Pil fissato al 7,5% (dopo il 7,7% raggiunto l’anno scorso) la Cina darà probabilmente il maggiore contributo singolo alla crescita globale. Questo tasso di sviluppo porterà il Paese alla fine di dicembre ad avere un Pil di oltre 10 trilioni di dollari (circa cinque volte l’Italia) quasi due terzi di quello americano, che a fine anno dovrebbe essere di 17 trilioni di dollari, con un tasso di crescita intorno al 2%. La prospettiva, politicamente ed economicamente rivoluzionaria più di ogni nuova guerra fredda in Europa, di un sorpasso Cina-America entro un decennio diventa molto più concreta. Questo il punto e l’obiettivo profondo della nuova dirigenza cinese: come sarà la struttura economica cinese fra dieci anni, pronta a proseguire la crescita o sull’orlo di un precipizio e dunque prossima a crollare?
Il premier Li Keqiang che mercoledì per la prima volta ha presentato il rapporto programmatico del Paese rispondeva infatti a questo interrogativo.
Diversamente dai suoi predecessori, i quali parlavano più da ministri dell’economia che da capi del governo, Li ha illustrato un programma di riforme che vanno dall’agricoltura alla polizia passando per misure per rendere più facile la vita delle imprese private. Imprese private potranno avere maggiore accesso per entrare nel capitale di aziende pubbliche, potranno aprire istituti finanziarie e soprattutto saranno sottratte alla vessazione annuale di revisioni burocratiche, spesso occasioni di taglieggiamenti da parte di funzionari corrotti.
Dovrà cambiare quindi il modello stesso della crescita. Si dovrà passare da uno sviluppo trainato negli ultimi anni da enormi investimenti pubblici in infrastrutture a uno sviluppo che si affiderà sempre di più alla capacità imprenditoriale delle aziende private, le quali sono state peraltro il motore della crescita nazionale negli ultimi trent’anni.
Queste nuove imprese private dinamiche, concorrenziali, innovative dovranno essere in grado di competere sul mercato globale e quindi creare un mercato interno più sano che dovrebbe continuare a espandersi anche dopo il sorpasso americano, pure senza un diretto aiuto dello Stato. In questo senso l’aumento graduale ma continuo degli stipendi, l’espansione di un sistema di assicurazione sanitaria, la promessa delle sorti progressive della Cina stanno facendo allargare il consumo del mercato interno che dovrebbe poi sostituire le esportazioni come spinta di crescita.
Questo disegno ha molte trappole e tanti punti interrogativi. Il debito interno è il primo ostacolo. Cresciuto senza freni dopo la manovra espansiva del 2009 (per superare la crisi economica globale del 2008), oggi dovrebbe essere stato portato sotto controllo. Il premier non ha fatto cifre, ma ha annunciato che è stato oggi chiaramente contabilizzato e che è prevista l’emissione di obbligazioni locali oltre che freni strettissimi alle spese pubbliche per riportare i conti in ordine. Il secondo interrogativo riguarda l’ambiente internazionale, dove lo sviluppo tumultuoso del Paese attira ansie crescenti. Qui l’annuncio di un aumento del bilancio militare del 12% serve anche a intimidire vicini e lontani contro ogni tentazione di fare pressioni indebite sul paese.
Eppure la trappola maggiore al programma di governo è all’interno. I capi di ministeri e di grandi e piccole aziende di stato avevano costruito grandi fortune personali sfruttando monopoli pubblici per interessi privati. Questi interessi saranno abbattuti, più o meno velocemente, dalla crescita delle dinamiche imprese private oggi sostenute dalla massima dirigenza.
È un sistema di privilegi, corruzione sistemica e parassitismi che va a crollare e che si sta opponendo in ogni modo, come può alla ventata di nuovo. Qui c’è stata l’indicazione politica più forte. I premier e i ministri che stanno parlando in questi giorni sottolineano che le decisioni vengono prese «sotto la leadership del presidente Xi Jinping». È una formula nuova e molto forte che indica il potere di Xi, senza precedenti dai tempi di Mao. Ciò vuole anche dire che chi si oppone alle decisioni della leadership lo fa a suo rischio e pericolo e che l’influenza di tanti ex alti dirigenti, abituati a tessere le fila dietro il palcoscenico, è finita.
In questi giorni circolano a Pechino voci sul prossimo processo pubblico contro l’ex capo supremo della sicurezza cinese Zhou Yongkang. Zhou è il primo ex membro del politburo ristretto (il vertice della dirigenza) a essere messo sotto processo dai tempi della banda dei quattro, alla fine degli anni 70. Egli è ufficialmente accusato di corruzione, insieme a tutta la sua famiglia e decine di collaboratori e sodali. Ma la sua colpa maggiore è quella di avere cercato di opporsi alle riforme di Xi e avere creato e protetto una struttura di potere di fatto molto autonoma rispetto al vertice. La sorte del grande Zhou perciò diventa un esempio ai tanti Zhou minori: se non si adegueranno al nuovo corso sanno cosa aspettarsi.
È allora una questione quasi di vita o di morte per le parti in causa. Molti poteri ex forti sanno di dovere perdere tutto o quasi se non si opporranno, e il vertice sa che rischia di perdere il Paese se non va a fondo con le riforme. La lotta alla corruzione perciò non è finita, e potrebbe riservare nuovi, grandi sorprese, mentre una fase storica della Cina, con funzionari quasi satrapi locali, appare al tramonto e il nuovo ancora non si sa che faccia avrà.
Francesco Sisci è commentatore politico alla televisione centrale cinese (Cctv), www.sisci.com