Milena Gabbanelli, Corriere della Sera 7/4/2014, 7 aprile 2014
CHARLES AZNAVOUR
Mi era venuta voglia di conoscerlo più di 20 anni fa, e non per curiosità artistica. Era novembre 1992, tornavo dal Nagorno Karabah, un’enclave a maggioranza armena in territorio azero che aveva da poco proclamato la sua indipendenza; l’Azerbaijan, appoggiato dalla Russia, non aveva gradito e i due Paesi erano entrati in guerra. Chiuse le forniture di gas e petrolio, nella capitale armena le fabbriche erano ferme, le case al freddo, gli alberghi requisiti per ospitare i profughi, la gente in coda per il pane. Il mio viaggio drammatico, fra popoli di cui buona parte del mondo ignorava l’esistenza, si stava concludendo in un livido mattino nella sala d’attesa di un aeroporto ancora buio, mischiata alla lunga fila di donne, bambini, vecchi, con vecchie valigie: destinazione Parigi. Ero salita per prima su quel malmesso Ilyushin per filmare la silenziosa umanità in fuga. «Sa chi paga questo volo?» mi dice un signore seduto accanto a me «Charles Aznavour», e perché? «Perché è armeno». È passato tanto tempo, i due Paesi non hanno ancora firmato un accordo di pace, Aznavour ha continuato a cantare e ad occuparsi della «sua gente» come ambasciatore presso le Nazioni Unite. Lo incontro un sabato pomeriggio di fine febbraio fra i suoi alberi di ulivo a pochi chilometri da Marsiglia.
«Volevo permettere a persone che non avevano più niente e che volevano rivedere i loro parenti, o provare a costruirsi un’altra vita lontano dalla guerra, di realizzare i propri desideri. Io mi guadagno molto bene la vita. Non ho voglia di essere il più ricco del cimitero. Non ho nemmeno voglia di morire».
Può quantificare quella generosità?
«Quanti voli ho pagato? Mah... Non tutti quelli che partivano. Oggi ho un’organizzazione in Armenia, che si chiama “Aznavour per l’Armenia”, sosteniamo le ragazze che escono dagli orfanotrofi... Cosa può diventare una ragazza che è stata in orfanotrofio tutta la vita e d’un tratto esce? Ha due possibilità: o lavora, se trova del lavoro, oppure batte il marciapiede. Questa è la vita, se uno può deve aiutare le persone con queste difficoltà».
Adesso ha un ruolo diplomatico, cosa ha ottenuto di concreto?
«Penso che spesso siano le piccole cose quelle più importanti... Per esempio, dopo la strage degli armeni, quelli che sono riusciti a arrivare in Siria, sono stati islamizzati, ma siccome sono pur sempre armeni non vengono accettati dall’Islam, e nemmeno dall’Armenia perché sono musulmani. Non è giusto! Io ho chiesto per due volte a due presidenti di far entrare gli armeni musulmani in Armenia. Questa è una cosa concreta».
Cosa cosa impedisce a quei due paesi di essere in pace?
«Se avessimo del petrolio non avremmo tanti problemi. L’Azerbaijan ha molto petrolio e può spendere molti soldi. Il petrolio muove le persone, permette a molti di dimenticare il proprio senso morale. Io no, non me ne dimentico».
E quindi?
«Il mio scopo è la riconciliazione, e che si possano riaprire le frontiere fra Armenia e Turchia, chiuse dal ‘92 perché Ankara è filoazera. Per questo, anche se sono molto richiesto, non vado a fare spettacoli in Turchia, perché potrebbero dire “vedete, adesso è d’accordo con noi!”. Voglio essere preso sul serio, non diventare la pedina di un gioco, non ho più l’età per questo».
A proposito di età, ha 90 anni e ha ancora l’energia di organizzare concerti... Cosa prende?
«Mangio poco, faccio 10 vasche tutte le mattine, e mi tengo dritto. Si diventa vecchi quando si comincia a curvare le spalle. Ci vuole una disciplina, un’etica dell’esistenza».
Quali sono stati gli incontri cruciali che hanno determinato la sua carriera di artista?
«Intanto quando ho iniziato hanno detto che ero un nano, che gli infermi non bisognava farli salire sul palcoscenico. Ma io ho tirato dritto. Charles Trenet è stato il mio maestro di scrittura, ma chi mi ha insegnato a mettere tutto me stesso in una canzone è stata Edith Piaf. Ho vissuto 8 anni in casa sua, eravamo come due fratelli».
Com’era?
«Divertente, con un grande senso dell’umorismo».
Mi fa un esempio?
«Beh, non sono cose fini... Per esempio, una volta eravamo in un ristorante e lei tira fuori dal bollito un osso, dice alla segretaria di incartarlo e di mandarlo all’attore André Luguet, che girava sempre per casa, con questo biglietto: “Questo è l’osso del mio culo, prepara un brodo”. Storie così ce n’erano tutti i giorni. Era spiritosa, e questo lato non è mai emerso nella biografia».
Ha duettato con mezzo mondo, com’è stato con Sinatra?
«Sinatra aveva un grande fascino, ma dal punto di vista della scena è Piaf che mi ha dato qualcosa. O Chevalier. O Trenet. Sinatra è un crooner, un signore che arriva, canta, punto».
Ricorda il concerto in piazza del Duomo nel 2009? Berlusconi ha detto che non ha voluto duettare con lui per non fare brutta figura
«Se gli fa piacere, fa piacere anche a me. Silvio mi piace perché è matto e io ho sempre amato i matti».
Oggi è condannato per frode fiscale
«Oggi è una cosa banale».
Anche molti italiani lo pensano, tutti quelli che preferiscono non pagare le tasse, e sono in tanti. Tornando invece alle sue canzoni, sono piene di amori complicati, crudeli...
«La gente felice non ha storia, lo sa? Gli infelici hanno una storia, ma siccome sono infelici pensano di non avere niente da dire, che la vita è questa e basta».
In questo momento quale sarebbe la canzone adatta per Hollande?
«Dunque... Potrebbe essere Tout s’en va, tout se meurt, dove cambio i nomi di donna quattro volte. Ma la questione del Presidente Hollande... Insomma non bisogna venirci a rompere le scatole, vive la sua vita e ne ha il diritto, no? Bisogna piuttosto guardare a quello che fa come presidente».
Sembra che la gente dimentichi o perdoni più facilmente i tradimenti elettorali..
«Invece sono queste altre le storie che io perdono. Tutti gli uomini sono forse fedeli? Non hanno mai tradito la moglie? Andiamo! E quante donne tradiscono i loro mariti? È un’ipocrisia mondiale!»
Da ragazzina pensavo che le sue storie fossero tragiche perché le donne non potevano innamorarsi di un uomo così brutto, e che di lei si innamoravano solo donne «senza nessuna femminilità», e che detestava, mi viene in mente «Ti lasci andare». Più tardi invece ho visto in lei un seduttore.
«Questo mestiere permette delle amicizie femminili, e io ne ho molte, e mi trovo veramente bene con le donne, ma non sono mai stato un seduttore. Il mio mestiere mi prendeva molto di più. Vede i seduttori si preparano alla seduzione... Lei è fortunata che oggi non mi sono ancora fatto la barba».
Cos’è per lei la seduzione?
«È qualcosa che sta qua dentro, da qualche parte nella la testa. L’intelligenza è bella, il potere è seducente, l’umorismo è seducente: ecco tre maniere di sedurre».
Lei le ha tutte e tre.
«Ma lei mi dice delle cose che mia moglie non mi ha mai detto!
Non sono cose che dicono le mogli! Parliamo di «quel che si dice» una canzone sull’omosessualità che ha composto nel 1972, quando ancora non esisteva la parola «gay».
«Io ho sempre violentato il pubblico, un certo pubblico. Perché se alla gente non si insegna qualcosa resteranno sempre degli asini. Nella maggior parte dei casi è un fatto genetico, non perché qualcuno gli ha detto che deve essere omosessuale. Si figuri che fra i miei amici, i primi a dire “non canterai mica questa canzone qua?”, sono stati proprio gli omosessuali».
Ma come le è venuta in mente?
«Perché avevo degli amici omosessuali che si innamoravano sempre di un ragazzo che non lo era. Tutti, senza eccezione».
Come aveva reagito il pubblico 40 anni fa? All’epoca la ascoltavo ma non l’avevo ben compreso, oggi mi rendo conto che era rivoluzionaria
«Non c’è dubbio che è meglio compresa oggi, però è stata subito un successo in Francia, e trasmessa in tv prime time . La Germania l’ha accettata, l’Italia, non negli USA, dove non la si poteva cantare in prima serata, in Russia non la si capisce ancora... Mi hanno chiesto di non cantarla».
Ma l’ha cantata?
«Sì, l’ho già cantata».
Vantaggi dell’età?
«Quelli che ci inventiamo a mano a mano che si avanza, anche perché se non accetti gli anni che hai è un disastro. Con umorismo, con tenerezza, con nostalgia, ma bisogna accettarli».
Considerando l’alternativa...
«La parola ”alternativa” è proprio quella che bisogna dire».
Salire sul palco a 90 anni, rispetto a quando ne aveva 40... C’è sempre la stessa adrenalina?
«È sempre facile, perché è il mio ambiente preferito. Solo quando ho debuttato mi tremavano le gambe, e hanno continuato a tremarmi fino al giorno in cui mi sono detto “Se il pubblico compra il biglietto significa che mi vuole bene. Dunque non ho nessuna ragione di avere paura”. Io sono un uomo molto logico sa? Oggi è la lunghezza delle parole a non essere più la stessa, e devo trovare il modo di dire al pubblico “ho 90 anni”».
Non le è venuta voglia di smettere?
«Si è diretti da abitudini, che sono diventate una seconda natura. E senza queste cose ci si annoia. Morire sì, fermarsi mai, e morire non è colpa mia».
Lei è credente?
«Credo che se c’è un Dio, dico “se” c’è un Dio, è lo stesso per tutti.. Io non sono un uomo religioso, ma ho rispetto delle religioni, perché hanno una funzione educativa»
A chi si rivolge nei momenti di difficoltà ?
«A me stesso. Tutti hanno detto “dio è in te”, e allora se dio è dentro di me, mi rivolgo a me. Non è vero?»
Posso accenderle una candelina?...
(ride) «Non lo faccia ... Non voglio essere più alto del mio sedere».
A questa età è ancora importante il giudizio degli altri?
«Penso che sia un imbecille».
Chi?
«Il giornalista che mi ha demolito è un imbecille. Colui che fin dagli inizi, con tutto quel che ho fatto, non ha tenuto conto di niente, è un imbecille. Avrebbe almeno potuto dire: “però scrive bene”. Niente! Era un cretino. Lo sapevo fin da quando ho debuttato che avevo a che fare con un cretino. È la ragione per la quale non ho mai chiesto un diritto di replica. Mai! Non gli ho mai dato questo onore. Mi rodeva.. ma me lo sono tenuto per me. L’unica cosa da fare era di guadagnare terreno a poco a poco. Ecco. Viva Bonaparte!».
Ha in programma concerti a Tel Aviv, Berlino, Francoforte, Roma, in Corea, è veramente solo per piacere o con tanti figli e nipoti ha ancora bisogno di macinare denaro?
«Il denaro non è mai stato il mio motore. Non so nemmeno cosa ho in banca, me ne frego, se ne occupava mia moglie, ma anche lei se ne fregava, e ora è mio figlio che se ne occupa, perché mi sono fatto raggirare in tutti i modi. Ho prestato dei soldi senza avere delle carte... Scrivere, giocare con la lingua, è un piacere personale per me, che ho smesso di andare a scuola a 10 anni».