Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 7/4/2014, 7 aprile 2014
PROCESSI A NUMERO CHIUSO A ROMA NON PIÙ DI 12 MILA CASI ALL’ANNO
ROMA — Processi a numero chiuso per mancanza di personale. È ciò che avviene nel palazzo di giustizia della capitale, dove la cronica carenza di assistenti, segretari e altre categorie di ausiliari ha prodotto una grande quantità di procedimenti penali per i quali non si riesce a fissare nemmeno la data d’inizio. Numeri destinati ad aumentare, perché le richieste di giudizio da parte della Procura superano di gran lunga la capacità di smaltimento del tribunale. Se infatti i pubblici ministeri definiscono tra i 18.000 e i 20.000 processi l’anno, i giudici sono in grado di celebrarne non più di 12.000. Dunque ogni dodici mesi ne restano fuori almeno 6.000 per i quali non si sa se e quando si potrà convocare la prima udienza, che andranno ad aggiungersi ai 34.400 accumulati fino al dicembre 2013. E l’Inps ha già preannunciato l’arrivo di circa 36.000 notizie di reato, per il solo 2014, riguardanti omessi pagamenti di contributi.
Da queste cifre è scaturita la decisione del presidente del Tribunale di Roma, approvata dal Consiglio superiore della magistratura, di stabilire criteri di priorità per la trattazione dei processi davanti al giudice monocratico (che tratta reati con pena massima fino a dieci anni di carcere, salvo numerose eccezioni previste dalla legge). La maggior parte delle risorse sono state dedicate a garantire il regolare svolgimento dei processi davanti ai collegi di tre magistrati, che si occupano dei delitti più gravi e preoccupanti, e dunque a soffrire le carenze di organico sono soprattutto le sezioni monocratiche. Alle quali saranno assegnati per il 2014 e ogni anno a seguire, finché la situazione non cambierà, non più di 10.500 procedimenti a citazione diretta. Avendo cura di scegliere, tra questi, quelli per fatti di maggiore allarme sociale. Destinati a rimanere sospesi in attesa di tempi migliori — salvo casi particolari — sono i processi per frodi in commercio, minacce, invasione di terreni o edifici, commercio di prodotti con marchi falsi, danneggiamenti, deturpamenti o imbrattamenti di cose altrui e altri delitti puniti con pene lievi.
A fronte di questa situazione, la Procura guidata da Giuseppe Pignatone ha deciso di adeguarsi, per impedire che tra i 6.000-8.000 procedimenti destinati ogni anno al «limbo giudiziario» (che rischiano di aumentare fino a 10.000-15.000 con la quota dei fascicoli in arrivo dall’Inps e destinati a questa categoria) ce ne siano di rilevanti. Di qui la scelta di inoltrare al giudice non più di 12.000 richieste di fissazione delle udienze, secondo le indicazioni di una circolare firmata dal procuratore che indica i «criteri di priorità» per la loro selezione. Il resto verrà accantonato presso un apposito ufficio chiamato Sdas, Sezione definizione affari seriali, senza procedere alla scansione degli atti a conclusione delle indagini, né alle notifiche degli avvisi alle parti; in attesa che dal tribunale giungano notizie su quando sarà possibile fissare la data dell’udienza. Nel frattempo si cercherà di incrementare il ricorso ai decreti penali (di fatto una multa irrogata dal magistrato, che se accettata dall’imputato chiude il procedimento) con i quali si potrebbe smaltire almeno la metà dei processi lasciati in sospeso e, conseguentemente, a forte rischio prescrizione.
Stiamo parlando di reati «a bassa offensività concreta», come le resistenze e gli oltraggi a pubblici ufficiali, guida senza patente o in stato di ebbrezza, i mancati adempimenti degli obblighi derivanti da misure di prevenzione, fino ai furti sul banco del supermercato o la contraffazione di prodotti venduti al dettaglio. Trasgressioni «minori» che si tramutano in fascicoli che per la statistica equivalgono a procedimenti per rapine o omicidi, ma che nella maggior parte dei casi non hanno nemmeno bisogno di indagini per essere definiti. Il fatto di bloccarli alla Sdas eviterà che vadano ad ingombrare i tavoli dei pubblici ministeri e dei loro ausiliari, garantendo loro più tempo per la trattazione degli affari di maggior peso ed importanza. La selezione allo Sdas per bloccarli anziché mandarli al giudice intasando i calendari delle udienze fino alla saturazione, dovrebbe inoltre impedire che il destino dei fascicoli sia casuale: per esempio che si fissi l’udienza per una banale contravvenzione lasciando fuori un omicidio colposo, una truffa grave o qualche reato ambientale.
La carenza di mezzi determina oggi «l’assoluta casualità nei tempi di concreto esercizio dell’azione penale», spiega il procuratore Pignatone, che s’è richiamato a un provvedimento adottato a Torino nel 2007 ispirato a un «oculato, efficace e realistico esercizio dell’azione penale», avallato dal Csm. Per il capo dei pm romani «l’assenza di un meccanismo regolatore che prenda in considerazione l’effettivo grado di disvalore sociale dei fatti oggetto di procedimento produce effetti non voluti e inaccettabili». Dunque l’introduzione del numero chiuso — fermo restando che le indagini vengono completate in tutti i casi, «anche per valutare eventuali ragioni di urgenza al di là del titolo di reato» — non è una rinuncia ai compiti istituzionali della sua Procura, bensì« un tentativo di mitigare gli effetti patologici provocati dalle condizioni di lavoro, in modo da governare razionalmente la massa enorme degli affari che dobbiamo trattare con le scarse risorse disponibili. Tenendo fermo il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale cerchiamo di razionalizzarne i tempi di esercizio, attraverso scelte chiare e rispondenti ai limiti oggettivi fissati dal tribunale».