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 2014  aprile 07 Lunedì calendario

L’ILLUSORIA CALMA DI UN PAESE OSTAGGIO DEI RUSSI


Nonostante gli sforzi diplomatici di europei e americani, la situazione in Ucraina resta molto tesa e carica di pericoli. La dinamica degli avvenimenti sul territorio segue logiche che paiono ancora
distanti dalla disponibilità al compromesso necessaria in ogni negoziato politico. L’epicentro della crisi, naturalmente, resta la Crimea. Il parlamento locale ha indetto formalmente un referendum per il 16 marzo con
cui sancire il passaggio alla Repubblica federale russa.
Ora, sarebbe semplicemente illusorio aspettarsi che facciano presa le giuste proteste dei leader occidentali. D’accordo: è contro la costituzione ucraina (e non solo) convocare una consultazione separatista in modo unilaterale. Ma la Crimea del marzo 2014 non è la Scozia del 2012, dove i leader autonomisti concordarono con il premier britannico David Cameron il percorso per arrivare al voto che si terrà il prossimo 18 settembre. In Crimea l’inerzia è già quella di una guerra non dichiarata, non c’è spazio per un dibattito di diritto costituzionale comparato. Basta vedere come le truppe goffamente camuffate di Mosca e le milizie paramilitari locali spadroneggino sul territorio, anche con provocazioni vicine al bullismo. Certo, i movimenti filo russi nelle città vicino alla frontiera est non hanno raggiunto dimensioni paragonabili alla rivolta popolare di Kiev. Ma sarebbe un grave errore sottovalutarli. A Kharkiv, a Odessa, a Donetsk migliaia di manifestanti tengono in apprensione le autorità di polizia. Sono gruppi composti da un nucleo di uomini molto determinati, cui fanno da corona fasce eterogenee della popolazione, con una robusta presenza di anziani e di anziane. Finora il governo provvisorio di Kiev ha scelto la strada del contenimento non violento. La strategia ha funzionato meglio a Kharkiv, mentre fino all’altro giorno si è rivelata fallimentare a Donetsk, dove il palazzo del Governatorato è passato di mano tre volte negli ultimi quattro giorni. Ma il rischio dell’incidente rimane alto in questo tiro alla fune prolungato tra poliziotti in assetto anti-sommossa e manifestanti pro russi. Una sola vittima tra i contestatori potrebbe scatenare la reazione emotiva dei tanti simpatizzanti di Mosca (mediamente la metà della popolazione) che finora sono rimasti a guardare. L’altro pericolo è se possibile ancora più grave. Mercoledì scorso nella grande piazza Lenin di Donetsk si sono viste scene da pre-guerra civile. Lo schieramento che sostiene la rivoluzione di Kiev si è per la prima volta palesato in pubblico, con bandiere, striscioni e palloncini azzurri e gialli. Una mossa che è stata vissuta dagli avversari come l’apertura delle ostilità. A Donetsk, oggi, non c’è il clima per un confronto politico pacifico. I gruppi pro Vladimir Putin hanno aggredito gli avversari. Il bilancio finale si limita a qualche contuso, ma solo perché i cordoni della polizia hanno tenuto. La disfida di piazza Lenin sembra una questione privata tra due tifoserie circoscritte. Il resto della città osserva da lontano. Almeno finora. L’ultima insidia: il nuovo potere di Kiev si sta muovendo in modo contraddittorio. Da una parte ordina alle forze dell’ordine di non reagire (non si è udito un solo sparo); dall’altra lancia un’offensiva di «de-russificazione» del Paese che, vista da Est, appare velleitaria e controproducente.