U.D.G., l’Unità 6/3/2014, 6 marzo 2014
IL GAS ARMA DI PRESSIONE ANCHE PER GLI USA
Liberare l’Europa dall’«abbraccio energetico» russo. Trasformare la propria autosufficienza energetica in una possente leva per ridefinire, a proprio favore, gli equilibri geopolitici, e gli affari, nel cuore del Vecchio continente. Più che le armate o le sanzioni, l’arma più potente che Barack Obama potrebbe mettere in campo nella sua partita versus Vladimir Putin si chiama «shale gas». Un inquadramento è necessario. La produzione mondiale dello shale gas è tutta concentrata nell’America settentrionale, con Washington che ormai ricava dallo shale una discreta fetta del suo fabbisogno energetico complessivo. Quanto all’Europa, nel Vecchio continente l’industria del gas di scisto, semplicemente, non c’è. Ma potrebbe esserci, e copioso, in Ucraina. E diversi analisti individuano l’ingresso dei blindati russi in Crimea proprio nello «shale gas», o meglio nelle grandi risorse di gas ucraine estraibili con la tecnica del fracking, con la conseguente concorrenza alle condotte che portano gas convenzionale dalla Russia interna ed estrema.
DOPPIA PARTITA
Ecco allora la doppia partita made in Usa: usare una parte del proprio «shale gas» per attrarre l’Europa oggi alla mercé energetica di Mosca, e al tempo stesso, attraverso le nuove autorità ucraine, ipotecare le nuove risorse energetiche del Paese. «L’Ucraina è uno dei campi di battaglia per la rivoluzione dello shale gas, dato che finora l’Occidente per le sue forniture di petrolio e gas tradizionali è stato fortemente dipendente da un instabile Medio Oriente e da una Russia inaffidabile», rimarca in proposito Harry Phibbs, il principale columnist del web di Conservative Home, che si definisce «la casa del conservatorismo», insomma non certo una fonte antioccidentale. Già prima della crisi ucraina, Washington non nascondeva la sua volontà di incrementare le sue esportazioni di gas, individuando nell’Europa uno dei mercati più appetibili. Così facendo, e questo emerge anche da recenti report del Dipartimento di Stato Usa, l’autosufficienza energetica americana, grazie alla produzione del gas scisto, diventava un’arma in più in politica estera. Una cosa è certa: per Mosca, annota Fabio Indeo, analista di Limes, la rivista italiana di geopolitica, la «shale gas revolution» rappresenta una concreta minaccia, considerando che dispone delle maggiori riserve al mondo di gas naturale convenzionale (32 trilioni di metri cubi, tcm) e ne è la prima esportatrice al mondo: 200,7 miliardi di metri cubi di gas (mmc) nel 2012.
GAZPROM SOTTO SCACCO
Ma la carta dello «shale gas» in mano all’Amministrazione Usa non può risolvere nel breve-medio termine il problema energetico europeo. Un terzo del gas importato in Italia e in Europa viene dalla Russia, e sul territorio dell’Ucraina passano i principali gasdotti che lo trasportano verso Ovest. Restando al gas russo, nei Paesi dell’Europa Occidentale arriva attraverso numerose infrastrutture come lo Yamal che passa per Bielorussia e Polonia per approdare in Germania, il North Stream che passa attraverso il Mar Baltico proprio per evitare l’Ucraina e il Blue Stream che invece giunge in Turchia. Kiev è così crocevia di una fitta rete di 40mila chilometri di gasdotti nati in epoca sovietica e che poi si diramano per agganciarsi alle reti europee come il nostro Tag. Da questa rete arriva circa l’80% del gas destinato al Vecchio Continente e che porta al governo di Kiev notevoli ritorni in termini di tariffe, ma anche tutta «l’attenzione» interessata di Mosca. Perché se è vero che l’Unione europea acquista almeno il 22% del gas dalla Russia, è altrettanto vero che Mosca ha bisogno delle pipeline ucraine per garantirsi la leadership energetica, con le sue ricadute politiche, in Europa: circa il 50% delle esportazioni di gas russe verso l’Europa passa infatti attraverso l’Ucraina.
D’altro canto, l’arma del gas agitata da Mosca potrebbe rivelarsi controproducente per Gazprom, il gigante energetico russo. Insomma, la madre di tutte le partite (quella del gas) si presenta con mille variabili e un risultato finale incerto. Per tutti i suoi protagonisti. Le nuove alleanze si misurano a miliardi. L’altro ieri gli Stati Uniti hanno confermato aiuti all’Ucraina per un miliardo di dollari, altri verranno dall’Unione europea, ma pare ancora poco per salvare il Paese dalla bancarotta. C’è bisogno di 35 miliardi, mentre i fondi stanziati sinora coprono soltanto una parte del debito dell’Ucraina verso Gazprom, che nei giorni scorsi ha sospeso ogni sconto sulle forniture di gas. D’altro canto, il Cremlino difende una posizione dominante estremamente forte: alcuni Stati membri, come la Lituania e l’Estonia, hanno in Mosca il loro unico fornitore di gas. Questa avrebbe oltre 2.7 miliardi di dollari di crediti nei confronti dell’Ucraina, un formidabile strumento di pressione.