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 2014  marzo 06 Giovedì calendario

DA RENZI NESSUNA NOVITÀ. GIÀ IL DUCE VOLEVA CHIUDERE PALAZZO MADAMA


Quella strana analogia con Mussolini. La proposta renziana di abolire il Senato della Repubblica è recente. Non appena arrivato alla segreteria del Pd, Renzi ha lavorato per arrivare a una riforma elettorale che prevedesse l’abolizione del Senato della Repubblica. Del resto, quando il presidente del Consiglio si è presentato al Senato per la fiducia il suo primo pensiero è andato a questo argomento: «Eppure, oggi chiedere la fiducia - ha detto Matteo Renzi in aula al Senato il 24 febbraio 2014 - significa proporre una visione audace, unitaria e per qualche aspetto anche - spero - innovativa, che parte dal linguaggio della franchezza con la quale comunico fin dall’inizio che vorrei essere l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula. Sono consapevole della portata di questa espressione, e anche del rischio di farla di fronte a senatrici e senatori che certo non meritano per qualità personale il ruolo di ultimi senatori a dare la fiducia a un governo, ma è così. Non lo sta chiedendo un governo: lo sta chiedendo un Paese, lo sta chiedendo l’Italia».
Eppure, Matteo Renzi dovrebbe sapere che la prima forza politica che ha proposto di abolire il Senato (all’epoca di nomina regia) sono stati i fasci di combattimento - nati per iniziativa di Benito Mussolini il 23 marzo 191 in piazza San Sepolcro a Milano - nel loro primo programma presentato nel 1919, prima di entrare in Parlamento. Il primo programma dei Fasci contiene rivendicazioni come il suffragio universale, l’abolizione del Senato (Punto C del paragrafo dal titolo «Problema politico»), la giornata lavorativa di otto ore, un’imposta straordinaria e progressiva sul capitale. Quando a Mussolini viene conferito l’incarico di formare il governo, tra i senatori scoppia la sindrome da scioglimento. Tuttavia, Mussolini si presenta a Montecitorio con l’intenzione opposta: sciogliere la Camera e lasciare il Senato intatto. Di fronte ai deputati Mussolini si presenta con parole poco rassicuranti nella tornata che inizia il 16 novembre alla Camera: «Ed allora era giusto che io in nome di una forza che esiste, e lo ha dimostrato, ponessi la Camera innanzi allo specchio della sua coscienza e le dicessi: o ti adatti alla coscienza nazionale, o devi scomparire». Quando arriva al Senato al suo posto. Il pomeriggio del 16 novembre 1922, Mussolini, a sorpresa, rassicura i senatori: «Non devo usare, nei confronti del Senato, il linguaggio necessariamente duro che ho dovuto tenere nei confronti dei signori deputati. Da anni ho la sicura coscienza di poter affermare che considero il Senato come uno dei punti fermi della Nazione. La gioventù italiana, che io interpreto e rappresento, e che intendo di rappresentare, guarda al Senato con molta, viva, patriottica simpatia». Il deputato repubblicano Giovanni Conti si accorge di questa contraddizione e ne chiede conto a Mussolini in aula alla Camera il 17 novembre 1922 ironizzando sulla mancata abolizione del Senato: «Oh! Che avrebbero detto ieri i venerandi ed illustri senatori di palazzo Madama se ieri, quando avete deposto ai piedi dell’Alta Camera la vostra alta deferenza, aveste ricordato questi vostri, così truculenti propositi?».
Ma Mussolini torna a gelare i senatori con una frase che contraddice quando aveva detto il giorno prima. Il Presidente del Consiglio interrompe Giovanni Conti e ribadisce alla Camera che gli impegni per abolire il Senato «Sono mantenuti, li mantengo». Tuttavia, la legge elettorale del 1924 non toccherà l’integrità di nessuno dei due rami del Parlamento.
Lanfranco Palazzolo