Sergio Romano, Corriere della Sera 6/3/2014, 6 marzo 2014
IL CLERO AL SERVIZIO DELLO STATO NELLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA
Nella sua risposta sul quadro del Perugino lei accenna a una «Costituzione civile del clero». Quando venne promulgata e di che si trattò?
Marta Soriani, Bologna
Cara Signora,
La Costituzione civile del clero è l’insieme delle norme che furono approvate dall’Assemblea costituente francese nel giugno del 1790 per organizzare la Chiesa di Francia con criteri di utilità pubblica. Per molti aspetti era già accaduto in Austria nel 1781 quando l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa e fratello di Maria Antonietta, aveva promulgato l’Editto di tolleranza. Era stata garantita libertà di culto per gli ortodossi e i protestanti. Erano stati soppressi gli ordini religiosi che non avevano una funzione sociale. Era stata vietata la libera corrispondenza dei vescovi con il Papa ed era stato fissato il numero delle parrocchie nelle zone rurali.
In Francia, dopo le tempestose giornate del luglio 1789, lo Stato si era spinto più in là. La Chiesa era stata privata dei suoi antichi diritti feudali, aveva perduto le decime e, dopo una legge proposta da Talleyrand, allora vescovo di Autun, i suoi beni era stato messi «a disposizione della nazione» per il pagamento del debito pubblico. Ma la norma che venne maggiormente percepita dalla Santa Sede come una intollerabile interferenza nelle sue prerogative, fu l’abolizione del valore legale dei voti monastici. Nel marzo del 1790, pochi mesi prima del voto conclusivo dell’Assemblea, il Papa, nel corso di un concistorio segreto, aveva gia condannato i principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
La riforma votata dall’Assemblea costituente aboliva anche le antiche circoscrizioni della Chiesa di Francia. I vescovi sarebbero stati 83 (lo stesso numero dei dipartimenti) e sarebbero stati eletti, come i parroci, dai cittadini, avrebbero avuto un salario statale, non sarebbero stati sottomessi ad autorità ecclesiali straniere, avrebbero giurato fedeltà alla Costituzione e avrebbero governato le diocesi con l’assistenza di un consiglio permanente di vicari. Vi erano sacerdoti disposti ad accettare le riforme, ma l’ostilità della Chiesa romana e degli ambienti conservatori del cattolicesimo francese divenne sempre più evidente. La rottura, che lo storico François Furet definisce scisma, ebbe luogo quando giunse l’ora del giuramento alla Costituzione. Vi furono regioni, come l’Alsazia e la Vandea, in cui i sacerdoti refrattari, come vennero chiamati coloro che non intendevano giurare, constatarono di avere la simpatia e il sostegno di una larga parte della società francese e furono così incoraggiati a disobbedire. Ma vi furono altre zone del Paese in cui accadde il contrario. Furet racconta che nella domenica prevista per la cerimonia «una folla immensa invase la chiesa di Saint Sulpice (a Parigi) e minacciò il parroco recalcitrante che riuscì a mettersi in salvo a stento, tra grida di "il giuramento o la forca"». Sembra che la carta geografica di quella spaccatura sia sopravvissuta più o meno intatta sino alla seconda metà del Novecento. Sempre secondo Furet, la Francia devota e praticante del XX secolo corrisponde a quella dei dipartimenti in cui i sacerdoti e i vescovi rifiutarono di votare la costituzione civile del clero nel 1791.